Conclusi con successo i test, il team italiano ha consegnato oggi al partner svizzero il telescopio di Cheops, la missione europea per lo studio dei pianeti di altre stelle che sarà pronta al lancio entro la fine del 2018. L’acronimo sta per CHaracterizing ExOplanet Satellite, ed è la prima delle missioni di classe Small del programma “Cosmic Vision 2015-2025” dell’Agenzia spaziale Europea (Esa), destinata a misurare con precisione le caratteristiche fisiche ancora sconosciute di pianeti in sistemi planetari diversi dal Sistema solare. Sviluppata congiuntamente con l’Ufficio Svizzero dello Spazio, il programma vede la guida dell’Università di Berna in consorzio con altri 11 paesi europei, tra cui spicca il contributo dell’Italia, che ha disegnato gli specchi raccoglitori e l’ottica a ridosso del piano focale e che è stata responsabile dell’integrazione e del collaudo del telescopio, la cui struttura meccanica è stata fornita dall’Università di Berna.
Sotto la guida dell’Asi e dell’Inaf, il telescopio è stato realizzato nei laboratori della Leonardo Spa di Firenze, con la collaborazione di Thales Alenia Space di Torino e Medialario di Bosisio Parini. Il team italiano, di cui fanno parte anche ricercatori dell’Università di Padova e lo Space Science Data Center dell’Asi, ha contribuito alle attività scientifiche necessarie a definire i requisiti, a verificare le performance strumentali, a preparare l’analisi dei dati.
Il piccolo satellite, dal peso di 250 kg, inizierà la sua missione con un lancio del razzo Soyuz dalla base europea di Kourou, Guyana Francese, che lo porterà in un’orbita a 700 km di altezza con un’inclinazione di 98° rispetto all’equatore, dove opererà per almeno quattro anni. Il payload scientifico di Cheops è un telescopio molto compatto, poco più di 30 cm di diametro e di lunghezza, che dedicherà le sue osservazioni alla misura della luce che giunge da stelle i cui pianeti sono stati individuati da altri strumenti, da terra o dallo spazio.
«Fornito di un paraluce di lunghezza pari al tubo, il telescopio è stato progettato in modo di ottenere la massima riduzione della luce diffusa possibile per generare un’immagine volutamente de-focalizzata e sparpagliata su un’area di circa 765 pixel», osserva Roberto Ragazzoni dell’Osservatorio astronomico Inaf di Padova, instrument scientist del telescopio di Cheops. «In questo modo è possibile raggiungere una precisione elevatissima nelle misure fornite».
Le misure di Cheops, molto precise, essendo scevre del nocivo effetto della scintillazione della nostra atmosfera, forniranno le informazioni mancanti per determinare ad esempio quale sia la struttura interna dei pianeti, se rocciosa o gassosa, oppure se vi siano nei sistemi planetari investigati altri corpi non visti in precedenza, come altri pianeti oppure lune e eventuali anelli planetari.
Una parte del tempo del satellite sarà dedicata a completare e migliorare le misure fatte dal satellite Tess della Nasa, un cacciatore di pianeti che sarà messo in orbita nel 2018, e che fornirà a Cheops molti oggetti da investigare con maggiore precisione. «I dati raccolti aiuteranno a comprendere i meccanismi di formazione ed evoluzione delle super-terre e dei pianeti di massa nettuniana, e per identificare un numero rilevante di pianeti con atmosfere in un ampio intervallo di masse, distanze dalla stella ospite e parametri stellari», spiega Isabella Pagano dell’Osservatorio astrofisico Inaf di Catania, responsabile scientifico in Italia per Cheops. «Questi dati saranno preziosi per la programmazione delle osservazioni mirate a comprendere la composizione e la struttura delle atmosfere planetarie, uno degli obiettivi del James Webb Space Telescope (Jwst) che la Nasa e l’Ees lanceranno sempre nel 2018».
«Cheops è solo il primo di una serie di missioni spaziali dell’Esa che cambieranno radicalmente la nostra visione dei mondi al di fuori del nostro Sistema solare», aggiunge Giampaolo Piotto dell’Università di Padova, membro del team scientifico di Cheops che sta selezionando i sistemi esoplanetari che il satellite dovrà osservare.
«La filosofia delle missioni Small dell’Esa è realizzare esperimenti scientifici dallo spazio di costo contenuto e con una tempistica relativamente breve, ma non per questo meno ambiziosi ed importanti di altre missioni che fanno parte del programma scientifico», sottolinea Barbara Negri, responsabile dell’Unità esplorazione e osservazione dell’universo dell’Asi.
«Fare in modo che il telescopio, una volta in orbita, garantisca le prestazioni richieste dagli scienziati ha richiesto la produzione di diversi modelli di sviluppo su cui sono stati effettuati test e verifiche all’interno di una pianificazione temporale particolarmente sfidante. Ciò ha consentito che l’ottica del telescopio sia oggi pronta, a meno di 4 anni dall’inizio delle attività industriali», conclude Mario Salatti, program manager Asi del progetto.