È la notte del 28 gennaio 2015 quando un Boeing 747 sorvola più volte la costa ovest degli Stati Uniti prima di fare ritorno alla base, il Centro di ricerche spaziali Armstrong della Nasa in California. A bordo, mentre i piloti tengono l’aeromobile il più stabile possibile, nessuno dorme. Tutti i tecnici e gli astronomi imbarcati su Sofia – il telescopio infrarosso aviotrasportato, frutto della collaborazione tra Nasa e l’agenzia spaziale tedesca Dlr – hanno occhi e strumenti puntati verso una stellina molto particolare.
La stella in questione è la relativamente giovane Epsilon Eridani, a soli 10 anni luce dal Sole. È una delle stelle più vicine al Sistema solare e ospita un sistema planetario. Inoltre, è abbastanza simile al Sole. Tutto questo rende Epsilon Eridani particolarmente interessante per la ricerca di un analogo del giovane Sistema solare. Ora, un articolo pubblicato su The Astronomical Journal riporta i risultati delle osservazioni compiute con Sofia degli anelli di detriti che circondano la stella. Con quali risultati? Media Inaf lo ha chiesto a Massimo Marengo della Iowa State University, tra gli autori del nuovo studio.
Epsilon Eridani e il suo sistema planetario sono sotto l’occhio dei telescopi ormai da una ventina d’anni: cosa sappiamo oggi?
«Epsilon Eridani è una delle “Fabulous Four Debris Disk Stars”, ossia una delle prime stelle che il satellite infrarosso Iras, negli anni ‘80, ha scoperto essere circondata da un disco di detriti. Tali dischi sono il risultato della frammentazione di asteroidi e comete nelle fasi iniziali e turbolente di formazione di un sistema planetario. La prima immagine della componente principale del disco è stata ottenuta nel 1998, grazie a osservazioni ottenute nel lontano infrarosso col il James Clerk Maxwell Telescope, all’osservatorio di Mauna Kea alle Hawaii. La morfologia di questo disco lo rivela essere analogo alla fascia di Kuiper del Sistema solare, la banda di pianetini che orbita il Sole alla distanza di Plutone e fratelli. Da allora, le indagini su questa stella, che ha una massa e luminosità simile al Sole, sono state intense, e hanno portato alla scoperta di un pianeta di tipo gioviano, denominato “Epsilon Eridani b”, che orbita la stella a una distanza comparabile alla distanza di Giove dal Sole».
Lei aveva già fatto osservazioni sul sistema di Epsilon Eridani?
«Nel 2008 il mio gruppo ha esaminato il sistema con il telescopio spaziale infrarosso Spitzer della Nasa. I risultati dell’analisi hanno mostrato che la stella è circondata non da una, ma da bande multiple di asteroidi. In particolare, in aggiunta alla fascia di Kuiper scoperta in precedenza, abbiamo rilevato la presenza di una, o forse due, fasce di asteroidi localizzate ad una distanza dalla stella simile alla distanza della cintura di asteroidi presente nel Sistema solare, a metà tra l’orbita di Marte e Giove».
Cosa avete scoperto con il nuovo studio?
«Un’analisi successiva ha posto in dubbio l’esistenza di una fascia di asteroidi separata dalla fascia di Kuiper del sistema. La nostra nuova ricerca è stata indirizzata a risolvere il dilemma, in modo da determinate in maniera priva di ambiguità la presenza o l’assenza di una cinta di asteroidi orbitante Epsilon Eridani e distinta dalla fascia di Kuiper. Le proprietà uniche di Sofia, l’unico telescopio attualmente in grado di ottenere immagini alle lunghezze d’onda infrarosse necessarie per effettuare l’indagine (40 micron), ci ha permesso di verificare con certezza la presenza della fascia di asteroidi».
Perché è così importante il sistema di Epsilon Eridani e in che senso può essere considerato un analogo del Sistema solare?
«La ragione è che la stella Epsilon Eridani ha un tipo spettrale appena un po’ più freddo del Sole e, come il Sole, è dotata di una cintura di asteroidi separata rispetto a una fascia di Kuiper. Come nel caso del Sistema solare, lo spazio tra le due strutture è occupato da pianeti (Epsilon Eridani b in questo caso, i giganti gassosi nel caso del Sole). La differenza maggiore sta nell’età: Epsilon Eridani ha un’età pari a un quinto di quella del Sole (circa 800 milioni di anni), corrispondente all’epoca in cui sono avvenuti i grandi impatti responsabili della creazione dei maria sulla superficie lunare. Simili impatti hanno portato sulla Terra l’acqua che ora forma i suoi oceani, e che ha reso possibile la nascita della vita sul nostro pianeta. Epsilon Eridani ci consente di osservare questi processi in tempo reale, in un sistema tra i più vicini al Sole, avente una struttura molto simile a quella del Sistema solare».
Quali altre ricerche avete in corso o in programma?
«Il prossimo passo sarà ottenere immagini ancora più nitide della fascia di asteroidi di Epsilon Eridani, in modo da determinarne la sua struttura dettagliata. Un’analisi di questo tipo è al di fuori della portata degli strumenti attuali, ma potrebbe essere realizzata nel futuro vicino con l’aiuto del telescopio spaziale Webb, il cui lancio è previsto per la fine del prossimo anno. Più in generale, stiamo facendo osservazioni di un gran numero di altri sistemi planetari, per capire quanto sia comune avere bande multiple di asteroidi simili al caso di Epsilon Eridani e del Sole».
Ci spiega brevemente cos’è Sofia?
«Sofia significa “Osservatorio Stratosferico per l’Astronomia Infrarossa”. Si tratta di un telescopio dal diametro di due metri e mezzo montato nella sezione di coda di un Jumbo Jet. Le osservazioni vengono fatte con il portellone dell’aereo aperto, ad una quota di quasi 15mila metri di quota. A tale altitudine l’umidità dell’aria è meno del 5 per cento dell’umidità presente al livello del mare, condizione essenziale per poter fare osservazioni nelle frequenze del lontano infrarosso. Il vapore acqueo è infatti opaco alla radiazione infrarossa».
Com’è fare l’astronomo a bordo di un aereo?
«Osservare con Sofia è un po’ come fare osservazioni dallo spazio. La sequenza di operazioni è preparata meticolosamente in anticipo, in modo da massimizzare il tempo di osservazione durante il volo. Non si tratta di una cosa semplice. Per esempio, il telescopio montato su Sofia non può essere orientato indipendentemente dall’aereo: per puntare il telescopio nella direzione voluta è necessario girare l’intero aereo. La sequenza delle osservazioni da effettuare nella notte, quindi, determina il tragitto di volo dell’aereo, e deve soddisfare non solo i requisiti scientifici, ma anche i vincoli del piano di volo, come concludere il volo atterrando nella stessa base aerea da cui si è partiti».
Per saperne di più:
- Leggi l’anteprima dell’articolo pubblicato su The Astronomical Journal “The Inner 25 AU Debris Distribution in the epsilon Eri System“, di Kate Y. L. Su, James M. De Buizer, George H. Rieke, Alexander V. Krivov, Torsten Lohne, Massimo Marengo, Karl R. Stapelfeldt, Nicholas P. Ballering, William D. Vacca