Le galassie lenticolari, che devono il nome alla loro particolare forma di lente biconvessa, e le galassie a spirale, come la Via Lattea, contraddistinte dalla presenza di bracci più o meno avvolti, rappresentano circa il 70 per cento della totalità delle galassie nell’universo locale. La rimanente porzione è rappresentata dalle galassie ellittiche. Mentre le galassie ellittiche sono costituite da una singola componente, che ha la forma di sferoide più o meno schiacciato, nelle galassie lenticolari e nelle galassie a spirale la componente sferoidale si innesta su di un disco esteso di polveri, nubi di gas e stelle, e si manifesta come un rigonfiamento centrale, che contiene fino alla metà delle stelle della galassia. Lo studio della distribuzione e dei moti delle molte stelle che si concentrano in questo rigonfiamento, che in inglese viene chiamato bulge, permette di ricostruire i processi di formazione dell’intera galassia. Si distinguono così rigonfiamenti che definiamo “classici” (classical bulges), strutture tondeggianti con un profilo di luce simile a quello delle galassie ellittiche e contraddistinte da moti disordinati delle loro stelle, e rigonfiamenti di forma più schiacciata (disk-like bulges), con profili di luce simili a quelli dei dischi e dove i moti delle stelle sono più regolari.
Per classificare univocamente un bulge, spiega a Media Inaf Enrico Maria Corsini, docente all’Università di Padova e associato Inaf, è necessario rispondere a una serie di domande, tra cui: “È grande e massiccio?”, “Ha un profilo di luce simile a quello delle galassie ellittiche?”, “I moti delle sue stelle sono disordinati?”, “È costituito prevalentemente da stelle vecchie?”. E ancora: “Esiste una relazione tra i moti delle stelle e la luminosità del rigonfiamento?” Nel caso in cui la risposta a tutte queste domande sia affermativa, il bulge sarebbe di tipo classico, viceversa verrebbe etichettato come disk-like. Questa classificazione permette, in via indiretta, di risalire al processo di formazione del bulge: essere classico comporta una formazione violenta con il rimescolamento delle stelle, mentre essere disk-like richiede un processo prolungato nel tempo dove il gas convogliato verso il centro della galassia origina nuove stelle con un moto d’insieme ordinato.
Ora per la prima volta, con l’ausilio del Tng (il Telescopio nazionale Galileo delll’Inaf, alle Canarie), Luca Costantin, dottorando all’Università di Padova, ha studiato in dettaglio le proprietà di un campione di bulges piccoli e poco luminosi, che stando all’opinione comune dovrebbero presentare le caratteristiche proprie dei rigonfiamenti disk-like. Il risultato sorprendente, spiega Costantin, è che «questi rigonfiamenti centrali, pur essendo molto piccoli e presentando molte delle proprietà tipiche dei disk-like bulges, mostrano invece una forte correlazione tra la loro luminosità e i moti delle loro stelle, che è una proprietà tipica dei classical bulges. Questo – continua Costantin – è un chiaro segnale che i bulges più piccoli e meno luminosi non possono essere considerati a priori come dei disk-like bulges, contrariamente a quanto ritenuto finora».
Questo risultato, pubblicato oggi su Astronomy and Astrophysics, porta verso la conclusione che solamente la conoscenza della forma intrinseca di queste strutture può finalmente risolvere il dibattito sulla loro vera natura: solo gli oggetti dalla forma più tondeggiante possono essere propriamente definiti classici, mentre solo quelli molto schiacciati possono a rientrare a pieno titolo nella categoria dei rigonfiamenti simili ai dischi.
Per saperne di più:
- Leggi su Astronomy and Astrophysics lo studio “No evidence for small disk-like bulges in a sample of late-type speirals“, di L. Costantin, J. Méndez-Abreu, E. M. Corsini, L. Morelli, J. A. L. Aguerri, E. Dalla Bontà e A. Pizzella