Si chiama Hat-P-26b, è un warm neptune a 430 anni luce da noi, e la sua atmosfera primitiva lo rende un oggetto difficile da incasellare, al di fuori da ogni schema di formazione planetaria comunemente accettato dagli astronomi. Per “primitiva” gli scienziati intendono a bassa metallicità, ovvero con un contenuto trascurabile di elementi “pesanti” – nel linguaggio degli astrofisici, tutti quelli della tavola periodica dal litio in avanti. E ad accorgersi dell’anomala carenza di elementi pesanti nell’atmosfera di Hat-P-26b – i cui cieli senza nubi, o quasi, sarebbero dunque composti in gran parte da idrogeno ed elio – sono stati i telescopi spaziali Hubble e Spitzer. Come? Rilevando e misurando la riga d’assorbimento dell’acqua, insolitamente marcata per un esopianeta di questo tipo, durante i transiti (quattro osservati da Hubble e due da Spitzer) del pianeta davanti alla sua stella madre, Hat-p-26.
I warm neptunes – esopianeti nettuniani caldi, o tiepidi: gli astronomi chiamano così i pianeti di massa simile a quella del nostro Nettuno ma con orbita stretta attorno alla loro stella madre – sono mondi di cui sappiamo ancora poco. Già tra i nettuniani in generale, caldi o meno, sono solo cinque quelli dei quali conosciamo con una certa precisione il raggio e la massa – e dunque la densità: Urano (ebbene sì, è considerato un nettuniano pure lui), lo stesso Nettuno, il nuvoloso GJ 436b, Hat-P-11b e, appunto, Hat-P-26b. La lettera ‘b’, nel caso degli ultimi tre, indica che sono, fra quelli noti, i pianeti più vicini alla loro stella madre: la nomenclatura parte infatti da ‘a’ (la stella stessa) in avanti, dunque la nostra Terra sarebbe ‘Sol-d’, mentre Urano e Nettuno, che caldi non sono, sarebbero rispettivamente ‘Sol-h’ e ‘Sol-i’.
Tornando alla metallicità, dunque al rapporto fra elementi più pesanti da una parte e idrogeno ed elio dall’altra, guardando ai giganti gassosi del nostro sistema solare emerge una certa correlazione con la distanza dal Sole. Prendendo come punto di riferimento la metallicità di quest’ultimo, dunque assegnando al Sole il valore 1, Giove ha una metallicità che va da 2 a 5, Saturno circa 10, Urano e Nettuno attorno a 100. Una progressione che gli astrofisici attribuiscono al diverso ambiente di formazione dei pianeti stessi: quelli più lontani, avendo preso forma in una regione periferica dell’enorme disco di polvere, gas e detriti che roteava attorno al Sole agli albori del sistema solare, sarebbero stati oggetto di bombardamento da parte di numerosi di residui ghiacciati ricchi di elementi pesanti. Giove e Saturno, invece, essendosi formati in una zona più calda del disco, di materiale ghiacciato ne avrebbero incrociato assai meno.
È un ragionamento che può valere anche in altri sistemi stellari? Le osservazioni di altri due giganti gassosi, Hat-P-11b e di Wasp-43b, lo lasciavano supporre. Ma il caso di Hat-P-26b sembrerebbe indicare di no, o almeno che siamo davanti a un nettuniano decisamente fuori dal coro. La sua metallicità, si legge nello studio – guidato da Hannah Wakeford del Goddard Space Flight Center della Nasa – pubblicato sul numero odierno di Science, è di sole 4.8 volte quella del Sole.
«Abbiamo appena cominciato ad analizzare le atmosfere di questi lontani mondi di massa paragonabile a quella di Nettuno, e quasi subito ci siamo imbattuti in un esemplare che va contro la tendenza osservata nel nostro sistema solare», sottolinea Wakeford. «Sono proprio risultati sorprendenti come questo a farmi amare lo studio delle atmosfere dei pianeti alieni».
Per saperne di più:
- Leggi su Science l’articolo “HAT-P-26b: A Neptune-mass exoplanet with a well-constrained heavy element abundance“, di Hannah R. Wakeford, David K. Sing et al.