Fomalhaut torna alla ribalta grazie a una recente campagna osservativa realizzata da un folto gruppo di ricercatori sfruttando le potenti antenne dell’Atacama Large Millimeter/submillimeter Array (Alma). Gli scienziati sono riusciti per la prima volta a sfruttare i dati nel millimetrico per ottenere un’immagine precisa e completa dell’anello di detriti polverosi che circonda la giovane stella Fomalhaut, una fra le più brillanti del cielo notturno e una delle poche a possedere un esteso disco circumstellare di gas e polveri.
Nel 2012, gli astronomi erano riusciti ad osservare solo metà di questo anello di macerie, ma Alma non era ancora nel pieno delle sue capacità. Grazie ai dati raccolti negli ultimi mesi di osservazione, gli esperti possono ipotizzare che esistano analogie chimiche tra i detriti ghiacciati che circondano la stella e le comete del nostro Sistema solare. La presenza di questo, disco pieno zeppo di detriti, intorno a Fomalhaut e le sue particolarità chimiche potrebbero indicare che questo sistema stia attraversando una fase conosciuta come intenso bombardamento tardivo (o late heavy bombardment), vale a dire quel periodo che nel Sistema solare si è verificato circa 4 miliardi di anni fa, quando la Terra e gli altri pianeti vennero regolarmente colpiti da proiettili vaganti come asteroidi e comete (cioè i residui della formazione planetaria).
Meredith MacGregor, scienziata presso l’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics a Cambridge nonché prima autrice di uno dei due nuovi studi pubblicati su Astrophysical Journal, ha detto: «Possiamo finalmente vedere in maniera chiara la forma del disco e ciò ci può dire molto sul sistema planetario che è responsabile del suo aspetto così distintivo».
Situato a circa 25 anni luce da noi, Fomalhaut è pieno di sorprese: è un sistema stellare multiplo, nel senso che composto da più stelle (fino a poco tempo fa si riteneva che fosse un sistema binario, ma qualche anno fa è stato avvistato un terzo componente, distante dalla stella principale 2,5 anni luce. Fomalhaut è uno dei circa 20 sistemi stellari in cui i pianeti sono stati fotografati in maniera diretta. L’intero sistema è molto giovane, ed è proprio la presenza di questo caotico disco a confermare la sua età: ha circa 440 milioni di anni, cioè circa un decimo dell’età del nostro Sistema solare. Le osservazioni di Alma hanno permesso di calcolare diverse caratteristiche del disco di macerie: si trova a circa 20 miliardi di chilometri dal centro del sistema ed è largo circa 2 miliardi di chilometri. Questi parametri confermano che l’anello è stato probabilmente prodotto dall’influenza gravitazionale dei pianeti nel sistema.
Le nuove osservazioni di Alma sono anche le prime che mostrano con precisione il bagliore dell’apocentro, un fenomeno ipotizzato in uno studio del 2016 di Margaret Pan. Cosa vuol dire? Come tutti gli oggetti con orbite allungate, il materiale polveroso nel disco di Fomalhaut viaggia più lentamente quando è più lontano dalla stella. Mentre la polvere rallenta, si accumula formando concentrazioni più dense e luminose nelle porzioni più distanti del disco. In parole povere, l’apocentro è il punto dell’orbita di un oggetto in cui è massima la distanza tra questo oggetto e il centro di attrazione gravitazionale.
Con Alma è stato possibile determinare che «l’abbondanza relativa di monossido di carbonio e di anidride carbonica attorno a Fomalhaut è uguale a quella riscontrata nelle comete del nostro Sistema solare», ha dichiarato Luca Matrà dell’Università di Cambridge, Regno Unito, e autore principale del secondo studio redatto dal team. «Questa parentela chimica può indicare una somiglianza nelle condizioni di formazione cometaria» dei due sistemi, cioè il nostro e quello di Fomalhaut.
Per saperne di più:
- Leggi il preprint dell’articolo “Detection of exocometary CO within the 440 Myr-old Fomalhaut belt: a similar CO+CO2 ice abundance in exocomets and Solar System comets”, di L. Matrà et al.
- Leggi il preprint dell’articolo “A Complete ALMA Map of the Fomalhaut Debris Disk”, di Meredith A. MacGregor et al.
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