Si chiama Gw170104 , dalla data della sua scoperta (il 4 gennaio 2017), ed è la terza sorgente di onde gravitazionali rivelata dall’interferometro Ligo. Come nei due precedenti casi, le onde gravitazionali sono state generate dalla fusione di due buchi neri, fusione che ha prodotto un oggetto più grosso con una massa risultante pari a 49 volte la massa del Sole. Un valore a metà strada fra le 62 e le 21 masse solari dei due buchi neri rivelati da Ligo, rispettivamente, nel settembre e nel dicembre 2015 (vedi immagine a fianco). L’evento Gw170104, registrato nel corso delle attuali osservazioni iniziate il 30 novembre 2016 e che proseguiranno per tutta l’estate, conferma definitivamente la nascita di una nuova disciplina nell’ambito dell’astronomia gravitazionale. I risultati sono pubblicati su Physical Review Letters.
Gw170104 si trova a circa 3 miliardi di anni luce, una distanza quasi doppia rispetto a quella delle prime due sorgenti rivelate dall’interferometro americano (1,3 e 1,4 miliardi di anni luce rispettivamente). «Abbiamo un’ulteriore conferma che esistono buchi neri di massa stellare più grande di 20 masse solari: si tratta di oggetti di cui ignoravamo l’esistenza prima di Ligo», spiega David Shoemaker del Mit, portavoce della collaborazione scientifica di Ligo. «È notevole riuscire a ricostruirne la storia e a studiarla nonostante questi eventi strani ed estremi siano accaduti miliardi di anni fa e a miliardi di anni-luce di distanza. Grazie al lavoro svolto dalle due collaborazioni scientifiche, Ligo e Virgo, è stato possibile ricostruire questa storia».
In tutti e tre i casi, ciascuno dei due rivelatori gemelli di Ligo ha rivelato le onde gravitazionali emesse a seguito della fusione di una coppia di buchi neri. Questo processo genera una quantità di energia tale da superare quella prodotta da tutte le stelle e galassie dell’universo in un determinato istante di tempo.
Durante il processo di fusione, i due buchi neri ruotano attorno al proprio asse mentre si muovono l’uno attorno all’altro, come una coppia di pattinatori che girano su se stessi mentre ruotano l’uno attorno all’altra. A volte, man mano che la coppia si muove, i buchi neri ruotano attorno al proprio asse nella stessa direzione del moto orbitale, ma altre volte succede il contrario. C’è di più: può capitare che i buchi neri siano inclinati rispetto al piano orbitale. In pratica, il moto di rotazione attorno al proprio asse può essere orientato in qualsiasi direzione. I nuovi dati di Ligo non permettono di determinare se i buchi neri fossero inclinati, ma implicano che almeno uno di essi non fosse allineato rispetto al moto orbitale. Occorreranno ulteriori osservazioni per arrivare a conclusioni più certe sul moto di rotazione dei buchi neri, ma questi primi risultati offrono degli indizi sulla loro formazione. «È la prima volta che abbiamo una prova del fatto che i buchi neri possono essere non allineati, e questo suggerisce che le binarie di buchi neri si possano formare in ammassi stellari molto densi», osserva Bangalore Sathyaprakash della Penn State e Cardiff University, coautore dello studio.
Ci sono due modelli che tentano di spiegare l’origine delle coppie di buchi neri. Il primo assume che questi oggetti nascano insieme: in tal caso, i buchi neri si formano quando esplodono entrambe le stelle di un sistema binario, e quindi, poiché le stelle ruotano inizialmente attorno al proprio asse in maniera allineata, anche i buchi neri risultanti rimarranno allineati. Nel secondo modello, invece, i buchi neri formano una coppia in una fase successiva della loro evoluzione, quando si avvicinano verso le regioni più interne di ammassi stellari molto affollati. In questo scenario, a differenza del precedente, i due buchi neri possono ruotare attorno al proprio asse in qualsiasi direzione rispetto al loro moto orbitale. Ora i dati di Ligo, suggerendo che i due oggetti di partenza – nel caso della sorgente Gw170104 – non fossero allineati, vanno a sostegno, anche se non definitivamente, del modello dell’ammasso stellare denso.
«Stiamo iniziando a fare vera statistica sulle binarie di buchi neri», dice Keita Kawabe del Caltech, coautore dello studio. «Tutto questo è molto interessante: alcuni modelli sulla loro formazione sono più accreditati rispetto ad altri e, in futuro, si spera di essere in grado di discriminare meglio tra diverse ipotesi».
Lo studio permette poi di mettere ancora una volta al vaglio la relatività generale. Ad esempio, i ricercatori hanno analizzato un effetto, chiamato dispersione, che si ha quando le onde luminose che si propagano in un mezzo, come il vetro, viaggiano a velocità diverse in funzione della loro lunghezza d’onda (è grazie a questo effetto che un prisma scompone la luce visibile nei diversi colori). Nel caso delle onde gravitazionali, la teoria di Einstein vieta l’effetto di dispersione. E in effetti la dispersione non è stata osservato da Ligo. «Pare che Einstein abbia avuto ancora ragione, anche per questo evento, che è avvenuto a una distanza circa doppia rispetto a quella della nostra prima rivelazione», dice Laura Cadonati della Georgia Tech, vice-portavoce della collaborazione Ligo. «Non vediamo delle deviazioni dalla relatività generale, e l’elevata distanza della sorgente ci permette di affermarlo con ancora maggiore fiducia».
«I rivelatori di Ligo hanno raggiunto delle sensibilità impressionanti», fa notare Jo van den Brand, portavoce della collaborazione Virgo. «Ci aspettiamo che entro questa estate l’interferometro Virgo espanderà la rete di rivelatori, il che ci aiuterà a localizzare meglio i segnali gravitazionali».
«Con la terza rivelazione confermata di onde gravitazionali generate dalla fusione di due buchi neri, Ligo si conferma un osservatorio potente per esplorare il lato oscuro dell’universo», conclude David Reitze del Caltech, direttore esecutivo del laboratorio Ligo e coautore dello studio. «Se Ligo è ideale per osservare questi tipi di eventi, speriamo presto di vedere anche eventi di altro tipo, come la violenta fusione di due stelle di neutroni».
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