Hubble colpisce ancora: questa volta lo studio realizzato da un team guidato dall’italiano Giovanni Bruno ha utilizzando la Wide Field Camera 3 del telescopio spaziale della Nasa per osservare due pianeti gioviani caldi orbitanti attorno ad altrettante stelle simili al nostro Sole. I due pianeti, HAT-P-38 b e WASP-67 b, sono all’incirca delle stesse dimensioni e orbitano attorno a stelle simili, eppure le osservazioni hanno evidenziato grandi differenze nella composizione delle rispettive atmosfere. Lo studio è stato presentato ieri ad Austin, in Texas, nel corso del 230esimo meeting della American Astronomical Society.
Bruno, che – oltre all’omonimia – dal filosofo Giordano ha ereditato la passione per gli “innumerabili mondi” che popolano l’universo, lavora presso lo Space Telescope Science Institute di Baltimora, nel Maryland, e ha detto al riguardo: «Quello che rileviamo osservando le due atmosfere è che sono diverse tra loro. Quella di Wasp-67 b è più densa di nubi rispetto a quella di Hat-P-38 b. Non è quello che ci aspettavamo e ora resta da capire quali siano le cause di queste differenze».
Il team ha usato la Wide Field Camera 3 in dotazione ad Hubble per rilevare l’impronta spettrografica della composizione chimica dell’atmosfera dei due pianeti. «Gli effetti della presenza delle nubi sulla marcatura spettrale dell’acqua ci hanno permesso di misurare la quantità di nubi presenti nell’atmosfera. Una maggiore presenza di nubi», spiega Bruno, «implica che il tratto caratteristico dell’acqua è inferiore. Questo ci fa capire che ci deve essere stato qualcosa nel passato di questi due pianeti che ha provocato il cambiamento che vediamo».
I due pianeti orbitano attorno alla loro stella madre, in entrambi i casi una nana gialla, ogni 4 giorni terrestri e mezzo, con una traiettoria più vicina alla stella di quella percorsa da Mercurio rispetto al nostro Sole. È probabile che nel corso della loro storia i due pianeti siano migrati in direzione delle rispettive stelle rispetto alla posizione in cui si sono formati. Forse uno dei due pianeti si è formato in maniera differente rispetto all’altro, forse erano diverse le condizioni ambientali in cui si è formato.
«Si può parlare di condizioni, per così dire, “genetiche” rispetto a condizioni ambientali» spiega Kevin Stevenson, co-autore dello studio «I due pianeti sembrano avere le stesse proprietà fisiche. Se la loro composizione attuale dovesse essere legata a questo, dovrebbero essere in pratica uguali. Ma non è così. La storia della loro formazione deve aver giocato un ruolo fondamentale».
Le nubi rilevate su questi giganti gassosi non sono certo come quelle terrestri, sono probabilmente nubi alcaline composte da molecole come solfuro di sodio e cloruro di potassio. La temperatura media di questi esopianeti si aggira intorno ai 700 gradi centigradi. I due pianeti rivolgono sempre la stessa faccia alle loro stelle, il che implica che una delle facce è molto calda e illuminata, l’altra è scura e fredda.
Il team ha appena iniziato a capire quali fattori possano aver avuto un ruolo nel rendere alcuni esopianeti “nuvolosi”, mentre altri hanno cieli tersi, ma gli scienziati, oltre a poter contare su nuove osservazioni possibili con Hubble, hanno un asso nella manica: il James Webb Space Telescope, che dovrebbe essere lanciato il prossimo anno.