L’universo che possiamo osservare con il telescopio è costituito quasi esclusivamente da gas (nello stato di plasma) immersi in campi elettrici e magnetici. Tutti i fenomeni che osserviamo nell’universo coinvolgono la conservazione di energia, che può essere però trasformata in forme diverse. La riconnessione magnetica è il processo fondamentale di fisica del plasma tramite il quale l’energia immagazzinata nei campi magnetici può essere convertita in altre forme di energia, come energia termica (riscaldamento dei gas) ed energia cinetica (accelerazione dei gas e delle particelle).
Questo fenomeno è stato osservato direttamente nei plasmi di laboratorio sulla Terra, e si verifica continuamente ovunque nell’universo, in ambiti completamente diversi. La riconnessione magnetica è ad esempio alla base degli eventi più energetici che si verificano nel nostro sistema solare: i brillamenti e le eruzioni solari. Ma lo stesso fenomeno si verifica molto più vicino a noi, nella magnetosfera terrestre, che interagisce continuamente per riconnessione magnetica con i campi magnetici interplanetari, dando luogo a tempeste geomagnetiche e spettacolari aurore boreali.
La stessa riconnessione magnetica avviene in modo simile nelle magnetosfere di tutti i pianeti e i satelliti dotati di un campo magnetico proprio, generando aurore anche su Giove, Saturno, Urano, Nettuno e altri. Ed è sempre la riconnessione magnetica la responsabile dei cosiddetti eventi di disconnessione che si osservano in alcune comete, la cui coda talvolta viene letteralmente “strappata via” dal vento solare nel quale sono immerse. Molto più lontano da noi, ai limiti dell’eliosfera, a circa 100 Unità astronomiche di distanza (1 Ua = distanza Terra-Sole), la riconnessione magnetica è coinvolta nell’interazione che avviene nell’eliopausa tra il campo magnetico interplanetario espulso dal Sole e i campi magnetici interstellari posti al di fuori del nostro sistema solare. La riconnessione magnetica può inoltre causare intensi rilasci di energia nei dischi di accrescimento attorno ai buchi neri. Si tratta quindi di un fenomeno fondamentale, il cui studio è alla base della nostra comprensione di moltissimi eventi nell’universo.
Studi in corso e domande aperte
Trattandosi di un fenomeno universale, gli studi in corso sono moltissimi e in ambiti completamente diversi. Complessivamente però possono essere divisi in: studi sperimentali basati sulle osservazioni dirette di plasmi di laboratorio (imbrigliati da campi magnetici in macchine come i tokamak e gli stellarator); studi osservativi che sfruttano le osservazioni dirette – in situ – di plasmi astrofisici (ad esempio con misuratori di particelle e di campi elettromagnetici posti su satelliti in orbita attorno alla Terra o al Sole); studi basati sulle osservazioni remote di plasmi astrofisici (con telescopi in grado di osservare i plasmi sul Sole o in altri oggetti astrofisici); e infine studi teorici che utilizzano simulazioni numeriche della riconnessione magnetica (cercando di riprodurre al computer gli eventi osservati).
Le domande aperte sono molteplici, ma la domanda fondamentale è: cosa provoca la riconnessione magnetica? I limiti principali nella nostra comprensione di questo fenomeno sono legati al fatto che la riconnessione magnetica coinvolge all’inizio scale spaziali “microscopiche”, ossia dell’ordine di una lunghezza scala tipica del plasma denominata raggio di Larmor (pari al raggio del moto che compiono le particelle cariche immerse in un campo magnetico). Tuttavia, poco dopo l’inizio della riconnessione magnetica il volume di plasma coinvolto diviene rapidamente “macroscopico”, causando eventi giganteschi e spettacolari come i brillamenti e le eruzioni solari.
Non sappiamo inoltre quali processi fisici regolano la velocità con cui avviene la riconnessione magnetica, e cosa provoca l’accelerazione e il riscaldamento delle particelle all’interno della regione di riconnessione. Recentemente, per risolvere questi problemi, è stato proposto ad esempio che la regione in cui avviene la riconnessione potrebbe avere una struttura “frattale”, in cui cioè la riconnessione avviene a tutte le scale spaziali in modo auto-similare (come avviene nei frattali), portando alla formazione di “plasmoidi” che potrebbero connettere le scale microscopiche con le scale macroscopiche. Le osservazioni e gli esperimenti numerici e di laboratorio in corso stanno cercando di testare questa come altre idee che sono state proposte.
Il coinvolgimento dell’Istituto nazionale di astrofisica
Il principale contributo dei ricercatori dell’Inaf allo studio della riconnessione magnetica è il lavoro svolto – sia tecnologico sia di gestione, analisi e interpretazione dei dati – nell’ambito di missioni solari e magnetosferiche, così come nell’ambito di telescopi per le osservazioni del Sole dalla Terra. Ricordiamo ad esempio lo spettro-polarimetro Ibis (installato al telescopio americano Dst), lo spettro-coronografo Uvcs sulla sonda Soho dell’Esa, e la partecipazione italiana alla missione Cluster sempre dell’Esa. Il prossimo futuro vede invece un pesante coinvolgimento della comunità italiana in future missioni spaziali dell’Esa quali Solar Orbiter e Proba-3, oltre che nello sviluppo del futuro telescopio europeo da Terra Est.
L’autore: Alessandro Bemporad è ricercatore Inaf all’Osservatorio astrofisico di Torino
Su Media Inaf potrai trovare, mano a mano che verranno pubblicate, tutte le schede della rubrica dedicata a Voci e domande dell’astrofisica, scritte dalle ricercatrici e dai ricercatori dell’Istituto nazionale di astrofisica