Due o tre settimane in Svizzera, ospitalità interamente a carico dell’Issi di Berna, per svolgere da cima a fondo una ricerca, lavorando con una squadra di scienziati di almeno quattro nazionalità, da pubblicare su una o più riviste scientifiche. È l’opportunità che l’International Space Science Institute elvetico offre ogni anno a una trentina di team di scienziati, selezionati in base alla validità delle loro proposte, per promuovere la collaborazione fra ricercatori di diverse nazionalità e facilitare lo scambio di conoscenze nell’ambito del progetto scelto.
Fra le 31 selezionate quest’anno, sono due quelle a guida Inaf. La prima è coordinata da Fabio Gastaldello, ricercatore allo Iasf di Milano, e riguarda i protoni “soft” presenti nella magnetosfera. «I grandi telescopi spaziali come Xmm-Newton, mandati nello spazio per catturare fotoni X provenienti da sorgenti cosmiche, si sono rivelati abilissimi anche a catturare e concentrare protoni presenti nella magnetosfera terrestre lungo la loro orbita», spiega Gastaldello, «dando origine a un rumore di fondo che può compromettere una parte consistente delle osservazioni scientifiche. Sappiamo ancora poco della fisica di questo fenomeno, e il nostro team si propone di investigarlo più in dettaglio. I risultati saranno utili per il design di future missioni X, come Athena».
A “giocare” per due settimane sul campo elvetico ci sarà anche una seconda squadra a guida Inaf, quella capitanata da Mauro Ciarniello, giovane ricercatore allo Iaps di Roma. Il suo progetto è dedicato all’analisi della composizione della superficie di 67P/Churyumov-Gerasimenko, la cometa di Rosetta.
Ma cos’ha ancora da dirci, la buffa cometa a forma di papera, ora che la missione della sonda Esa è terminata? Media Inaf lo ha chiesto allo stesso Ciarniello.
«I recenti risultati della missione Rosetta, e tra questi quelli dello spettrometro a immagine Virtis, hanno mostrato che la superficie della cometa è coperta da una regolite composta da una mistura di materiali organici e minerali opachi. Tuttavia, una precisa identificazione di questi composti, una stima quantitativa delle loro abbondanze relative e delle proprietà fisiche (dimensione dei grani, porosità) dal punto di vista spettrofotometrico, sono punti ancora aperti. Qual è, dunque, la composizione della superficie della cometa 67P? Quali sono le proprietà fisiche della regolite che ne ricopre il nucleo? Queste, in breve, le domande alle quali cercheremo di dare risposta».
Se ci riuscirete, per quali aspetti ritiene che il vostro lavoro possa avere una rilevanza scientifica?
«Almeno per due. Anzitutto, partendo dal presupposto che le comete sono tra gli oggetti più primitivi del Sistema solare e che non sono state sottoposte a un significativo riprocessamento collisionale, lo studio della loro composizione superficiale ci fornisce informazioni dirette sulle condizioni fisiche presenti nel momento della loro formazione, durante le prime fasi della nube solare».
E il secondo?
«Lo studio delle proprietà fisiche della superficie della cometa fornisce la possibilità di investigare i processi attivi sulla stessa: sublimazione dei composti volatili, trasporto della polvere ed effetto degli stress termici».
In pratica, come vi muoverete?
«L’obiettivo del progetto sarà perseguito tramite il confronto di misure di remote sensing – principalmente, quelle effettuate dallo strumento Virtis a bordo di Rosetta – con misure di laboratorio e modelli. A questo scopo, un aspetto centrale della nostra proposta è lo studio dell’interazione tra luce e materia e dei modelli che la descrivono. Solo tramite modelli accurati, affiancati a misure di laboratorio su analoghi cometari, possiamo infatti interpretare il dato spettrale in termini di composizione e caratteristiche fisiche del mezzo studiato. Una parte del progetto quindi sarà incentrata sulla validazione e il miglioramento di modelli tramite il confronto con le misure di laboratorio».
E la squadra che ha messo insieme com’è composta? Chi si riunirà, a Berna, a svolgere il lavoro?
«Saremo in undici, dieci membri più un collaboratore esterno. Quattro dalla Germania, tre dall’Italia (oltre a me, Gianrico Filacchione e Andrea Raponi, entrambi dell’Inaf Iaps di Roma), altri tre dalla Francia e uno dalla Svizzera. In una seconda fase, si potranno aggiungere degli young scientists».