Può esserci “vita” dopo la morte di una stella? A quanto risulta da alcuni studi condotti di recente, Jane Greaves (Università di Cardiff) e Wayne Holland (UK Astronomy Technology Centre di Edinburgo) avrebbero svelato la soluzione di un puzzle rimasto irrisolto per 25 anni: ecco come dei pianeti possono formarsi dopo l’esplosione di una supernova. I due ricercatori hanno presentato oggi la loro ricerca, pubblicata su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. Protagonista di questa indagine è la pulsar Geminga, individuata nel 1972 e così chiamata dall’astrofisico Giovanni Bignami, scomparso lo scorso maggio.
I pianeti non orbitano tutti attorno a stelle come il Sole: ce ne sono alcuni che hanno per stella madre una pulsar. I primi sono stati scoperti 25 anni fa, in orbita attorno a una stella di neutroni, ovvero di ciò che resta dell’esplosione di una stella – diverse volte più massiccia della nostra – in una supernova. Questi pianeti se ne stanno lì al buio, sono estremamente rari e complessi da studiare.
Ma come è possibile che, dopo una deflagrazione drammatica come quella che distrugge una stella, ci possano ancora essere dei pianeti nei paraggi? È proprio questo il mistero. I pianeti si formano dal materiale che la stella di neutroni attira a sé dopo l’esplosione. Questi pianeti nascono letteralmente dalle ceneri della stella e degli oggetti che li hanno preceduti, e possono essere rilevati dagli strumenti a terra (solo quelli più potenti) perché l’attrazione gravitazionale altera i tempi di arrivo degli impulsi radio provenienti dalla pulsar.
Greaves ha spiegato: «Abbiamo cominciato a cercare le materie prime subito dopo l’annuncio della scoperta dei pianeti attorno alla pulsar. Avevamo un obiettivo, la pulsar Geminga, a 800 anni luce di distanza, nella costellazione dei Gemelli. Gli astronomi pensavano di aver trovato un pianeta nel 1997, ma non l’hanno tenuto in considerazione a causa di irregolarità (glitches) nel periodo di rotazione. Solo molto tempo più tardi ho rianalizzato i pochi dati a disposizione e ho cercato di creare un’immagine».
I due esperti hanno osservato Geminga utilizzando l’hawaiano James Clerk Maxwell Telescope, che opera nel submillimetrico, perché la luce che cercavano di catturare è invisibile all’occhio umano (la lunghezza d’onda è circa mezzo millimetro). Con le camere Scuba e Scuba-2 gli scienziati hanno rilevato qualcosa di estremamente debole, ma non si tratta di artefatti. Le due camere hanno mostrato il segnale della pulsar e un arco attorno ad essa.
«Sembra quasi un’onda di prua», dice Greaves riferendosi a quell’onda che si forma in corrispondenza della prua di una nave in movimento. «Geminga si sta muovendo incredibilmente veloce attraverso la nostra galassia, molto oltre quella che è la velocità del suono nel gas interstellare. Pensiamo che il materiale venga catturato dall’onda a forma di arco e che qualche particella venga indirizzata verso la pulsar». Questo stesso materiale va poi a formare i futuri pianeti attorno alla stella di neutroni.
Per saperne di più:
- Leggi su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society lo studio “The Geminga pulsar wind nebula in the mid-infrared and submillimetre”, di J. S. Greaves e W. S. Holland