ECCO COS’HA VISTO ALMA NEI RESTI DI SN 1987A

Molecole inattese tra polveri d’una stella morta

Usando le antenne di Alma, l’Atacama Large Millimeter/submillimeter Array, un team d’astronomi guidato da ricercatori dell’università di Cardiff ha scoperto un ricco e sorprendente insieme di composti al centro della supernova 1987A. I risultati sull’ultimo numero di Mnras

     11/07/2017

Rappresentazione artistica delle fredde regioni interne di SN 1987A e dei resti di supernova (in rosso). Crediti: A. Angelich; Nrao/Aui/Nsf

Partiamo dalla sorpresa. Una doppia sorpresa: SO e HCO+. Ovvero, monossido di zolfo e catione formile. Sono le molecole inattese individuate grazie ad Alma nel freddo avanzo del botto cosmico più celebre del secolo scorso, la supernova 1987A, una stella di grande massa vista esplodere nel cielo australe a 163mila anni luce da noi, in una galassia vicina alla Via Lattea, la notte fra il 23 e il 24 febbraio 1987. Hanno poi risposto all’appello di Alma anche altre molecole, come il monossido di carbonio (CO) e l’ossido di silicio (SiO): non del tutto inattese, queste ultime, ma anch’esse sorprendenti, visto che fino a non tanto tempo fa si si riteneva che le esplosioni di supernova distruggessero completamente molecole e polveri presenti nei paraggi.

I risultati dell’inventario molecolare, condotto da un team guidato da Mikako Matsuura della Cardiff University, sono stati pubblicati ieri su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, a pochi giorni di distanza da un altro articolo, questa volta su Astrophysical Journal Letters, dedicato anch’esso al cuore – e in particolare alla ricostruzione della sua struttura tridimensionale – dei resti della supernova SN 1987.

«I nostri risultati mostrano che, quando la temperatura del gas residuo di una supernova scende sotto i meno 200 gradi», spiega Matsuura, «i numerosi elementi pesanti sintetizzati possono cominciare a formare molecole, creando così una fabbrica di polveri». La scoperta fa supporre che la fine violenta di una stella possa dare origine a nubi di molecole e polveri a temperature estremamente fredde, dunque a condizioni simili a quelle che si incontrano nei vivai stellari. Parlando di stelle, insomma, due ambienti per noi umani agli antipodi come culle e cimiteri esibirebbero più affinità del previsto. «La morte di stelle massicce», conclude Matsuura, «può quindi portare alla nascita di una nuova generazione di stelle».

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