Se fosse un giallo di Arthur Conan Doyle, “lei” – la galassia protagonista di questa storia – reciterebbe la parte dell’indizio. Il ruolo di Sherlock Holmes spetterebbe al Grantecan, il Gran Telescopio Canarias (Gtc) che sorge in cima al Roque de los Muchachos, sull’isola di La Palma, alle Canarie. E l’immancabile lente sarebbe un ammasso di galassie a metà strada fra “lei”, la galassia protagonista, e noi che la osserviamo: una lente gravitazionale. Abbastanza potente da far apparire la lontanissima galassia – 10 miliardi di anni luce da noi – circa 11 volte più grande e più luminosa di quanto non la vedremmo senza l’ammasso di mezzo.
Miracolo della gravità. Di quella einsteniana in particolare, che deformando lo spaziotempo, e piegando di conseguenza la traiettoria della luce, fa sì che il nostro sguardo possa spingersi ben oltre i confini che la sola tecnologia saprebbe garantirci. Ma onore anche all’ingegno e alla perseveranza del team di astrofisici dell’Instituto de Astrofísica de Canarias (Iac) e dell’Universidad Politécnica de Cartagena (Upct, Spagna) che ha scoperto la remota galassia – della quale vi risparmiamo l’impronunciabile sigla – soprannominata Cosmic Eyebrow, “sopracciglio cosmico”. Onore all’ingegno e alla perseveranza, dicevamo, perché non è stata una scoperta casuale: per incastrare Cosmic Eyebrow, per sapere in che direzione orientare lo specchio da 10.4 metri del Grantecan, hanno incrociato i dati di due cataloghi d’oggetti compatti, quello della missione Wise della Nasa e quello della missione Planck dell’Esa.
Lo sforzo è stato premiato. Cosmic Eyebrow, infatti, non è una galassia qualsiasi: è una galassia iperattiva – nel senso che al suo interno si stanno formando nuove stelle al ritmo impressionante di mille masse solari all’anno (nella nostra vecchia Via Lattea siamo ormai fermi a due masse solari all’anno, per dire) – ed è una galassia ultra-brillante. Addirittura la più brillante fra quelle osservate in banda submillimetrica, visto che ha una forte emissione nel lontano infrarosso. Non comunque forte a sufficienza da poter essere vista senza l’aiuto della lente gravitazionale.
«Grazie all’effetto di lente gravitazionale introdotto dall’ammasso di galassie fra noi e la sorgente, che agisce come se fosse un telescopio, dice infatti il primo autore dello studio pubblicato su Astrophysical Journal Letters, Anastasio Díaz Sánchez, ricercatore all’Upct, «la galassia sembra undici volte più grande e più luminosa di quanto non sia in realtà, e appare come replicata su più immagini lungo un arco, noto come “anello di Einstein”, il cui centro è la parte più densa dell’ammasso. Il vantaggio di questo tipo di ingrandimento è che non distorce le proprietà spettrali della luce, che possono così essere studiate su oggetti molto distanti come se fossero assai più vicini».
Per saperne di più:
- Leggi su Astrophysical Journal Letters l’articolo “Discovery of a Lensed Ultrabright Submillimeter Galaxy at z = 2.0439“, di A. Díaz-Sánchez, S. Iglesias-Groth, R. Rebolo e H. Dannerbauer