TRE ANTENNE SUL MICROQUASAR

Partenza esplosiva per la rete Vlbi italiana

In occasione dell’osservazione di un “giant flare” su Cygnus X-3, l’Italia inaugura operativamente la propria rete nazionale Vlbi (Very Large Baseline Interferometry) che comprende le antenne di Srt, Medicina e Noto. Nessun altro paese europeo è attualmente in grado di schierare tre antenne e di ottenere risultati così veloci e accurati dall’osservazione del cielo

     21/07/2017

Getti di plasma a velocità prossime a quella della luce vengono espulsi da un buco nero in accrescimento, come quello che alimenta Cygnus X-3. La rappresentazione artistica è stata realizzata da: Nasa/Cxc/M. Weiss

Single-dish and Vlbi observations of Cygnus X-3 during the 2016 giant flare episode”: ovvero, osservazioni di Cygnus X-3 con singola antenna e con il Vlbi nel corso della grande vampata del 2016. Forse a qualcuno il titolo di questo studio già ci dice qualcosa, ma se anche così non fosse non temete: per raccontarvi la sua storia partiremo proprio dall’inizio, dall’oggetto osservato: Cygnus X-3.

Nonostante disti da noi ben 23mila anni luce, disturbati per giunta da un’enorme quantità di materia e gas interstellari, Cygnus X-3  è una sorgente galattica molto studiata dagli astronomi, estremamente affascinante e unica nel suo genere. Si tratta di una microquasar, ovvero di un tipico sistema binario in cui una stella alimenta un buco nero che, a sua volta, espelle enormi quantità di particelle in direzioni opposte, che vengono definiti “getti di plasma” o “getti relativistici”.

Questi getti sono protagonisti, di tanto in tanto, di improvvise e fragorose espansioni nello spazio circostante che, se cicliche e deboli (fino a 10 Jansky di potenza), sono chiamate flares (vampate). Nel caso, invece, di flares improvvisi e più potenti (oltre 10 Jansky) si parla di giant flares. Cygnus X-3 è l’unico esempio fino ad oggi conosciuto che possiede entrambi. Di tanto in tanto ribolle con giant flares la cui origine è a tutt’oggi sconosciuta. L’ultimo era stato osservato ben cinque anni e mezzo fa.

La ricerca di Elise Egron

L’osservazione di questo fenomeno, così raro e particolare, è nata dal lavoro di Elise Egron, ricercatrice all’Osservatorio astronomico di Cagliari dell’Inaf e principal investigator dello studio, recentemente pubblicato sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, intitolato, come dicevamo all’inizio, “Single-dish and Vlbi observations of Cygnus X-3 during the 2016 giant flare episode”. Fra i coautori principali, anche altri ricercatori dell’Inaf: Alberto Pellizzoni, Marcello Giroletti, Simona Righini e Matteo Stagni. Il primo in forze a Cagliari, gli ultimi tre a Bologna.

Ma com’è possibile scovare questi giant flares se sono così casuali e non prevedibili? In realtà un minimo di prevedibilità c’è. Ecco com’è andata. Stava finendo l’estate del 2016 ed Elise Egron, come quasi ogni giorno, consultava una serie di “alert” astronomici presenti sul sito specializzato Astronomer’s Telegram, una specie di “social network” per astronomi dove è possibile pubblicare in tempo reale piccole e grandi scoperte fatte in giro per il mondo dai ricercatori delle più diverse branche e specializzazioni astronomiche. Niente liste di attesa, niente pubblicazioni ufficiali, nessun “referaggio” da parte chi colleghi.

Tra le tante notizie presenti sul sito, la ricercatrice francese ha dunque notato una segnalazione relativa a Cygnus X-3. Un collega russo avvertiva che l’emissione della sorgente, osservata in radio, era troppo bassa e questo, per chi conosce bene Cygnus X-3, significava solo una cosa: dopo oltre cinque anni di silenzio si sarebbe presentato presto un “giant flare”. In questi casi il momento preciso è impossibile da individuare ma normalmente si tratta di un range che va dalle due settimane ai due o tre mesi.

Questa, per gli astronomi, è caccia grossa, perché si tratta di eventi pressoché unici chiamati “fenomeni transienti“ che necessitano reazioni e comunicazioni veloci tra gli studiosi. L’Italia ha la “fortuna” (che in realtà sarebbe meglio chiamare “lungimiranza scientifica”) di possedere un sistema di ben tre antenne gestite dall’Inaf adatte all’osservazione congiunta in modalità Vlbi e, soprattutto, capaci di gestire i dati registrati tramite un potente computer chiamato correlatore, situato a Bologna e messo a punto, circa due anni fa, da Matteo Stagni.

Srt (Cagliari), Medicina (Bologna) e Noto: le tre antenne del Vlbi italiano

Single dish e Vlbi

Simona Righini a Medicina (Bologna) ed Elise Egron e Alberto Pellizzoni a San Basilio (Cagliari) si sono dunque immersi in lunghe ore di osservazione congiunta, e le tre antenne italiane hanno cominciato le osservazioni sia in modalità single dish che Vlbi. Non è facile spiegare in modo semplice la differenza tra l’osservazione congiunta (Vlbi) e quella singola (single dish). «Le modalità di osservazione Vlbi e single dish sono molto complementari, perché in Vlbi si riesce a vedere la struttura e la morfologia della regione osservata, mentre in single dish si vede con precisione la misura di flusso», osserva Egron, rimarcando così la grande differenza tra la risoluzione, garantita da tante antenne capaci di vedere praticamente in tre dimensioni, e la misurabilità dei movimenti e degli spazi garantita dall’osservazione singola che – prosegue la ricercatrice – «consente anche un rapido cambio di frequenza. In Vlbi si deve osservare anche per 10 ore di fila, mentre in single dish possiamo osservare in multifrequenza cambiando ricevitori in pochi minuti per capire, ad esempio, il cambiamento dell’indice spettrale. L’unione di queste osservazioni produce risultati eccezionali ma questo è solo l’inizio».

Nel frattempo, grazie al lavoro di Marcello Giroletti, all’epoca rappresentante italiano presso il programme commitee della European Vlbi Network (Evn), sono stati allertati anche altri ricercatori europei per dare manforte alla ricerca. Nel giro di pochi giorni, le antenne di Onsala (Svezia), Yebes (Spagna) e Torun (Polonia) hanno accettato l’invito e hanno dunque monitorato Cygnus X-3 durante una fase di “mini flare”, fenomeno limitato al “cuore” della sorgente ma comunque importante e rivelatore delle grandi potenzialità di questo metodo.

La scoperta

Il giant flare è arrivato dieci giorni dopo quello mini. È stato possibile osservarlo con un richiamo “d’emergenza” solo dopo quattro giorni dalla sua fase più acuta. I risultati scientifici sono stati comunque sorprendenti: per la prima volta, infatti, si è potuta osservare una variazione dell’indice spettrale di Cygnus X-3 in sole 5 ore, offrendo dunque nuovi elementi che possono aiutare a capire meglio i meccanismi della non-uniformità dei getti di plasma che fuoriescono dai buchi neri (per i quali esistono diverse teorie qui non riassumibili). Le osservazioni in Vlbi di questa fase “discendente” del giant flare hanno portato all’osservazione di getti (inesistenti solo quattro giorni prima) lunghi circa 10 miliardi di km. Ciò significa che il buco nero oggetto del giant flare ha espulso improvvisamente due getti di plasma ad una velocità enorme, pari a circa centomila km al secondo, ovvero un terzo di quella della luce.

La rete Vlbi italiana leader in europa

Cosa ancora più importante, che va molto oltre questo studio, è l’indiscusso ruolo di leadership dell’Italia nel contesto mondiale del Vlbi, l’interferometria su larga base. «Solo gli Stati Uniti sono capaci di fare quello che hanno fatto, e sempre più spesso faranno, le antenne italiane», dice Giroletti. «In passato per i progetti Vlbi, da quando venivano ideati a quando venivano pubblicati, passavano 5 anni tra concepimento, osservazioni e correlazioni. Questa volta, nel giro di 2 giorni, il correlatore ci ha dato il feedback di cui avevamo bisogno per produrre risultati concreti. Quasi una rivoluzione. Ora l’Inaf è in grado di fare osservazioni Vlbi autonomamente e addirittura fare da leader in Europa per progetti di ricerca».

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