Gli ammassi globulari sono fra i più antichi, compatti e densi sistemi stellari oggi conosciuti. La loro lunghissima storia inizia all’alba dell’universo e ci racconta come il processo di formazione di questi gruppi di stelle si sia già completato meno di due miliardi di anni dopo il Big Bang. Oggi non esiste ancora una spiegazione convincente di come tutto questo sia avvenuto, specie se ci concentriamo sui processi responsabili della formazione delle differenti popolazioni stellari osservate all’interno degli ammassi globulari, popolazioni talmente fitte da risultare centomila volte più dense di quelle osservate attorno al Sole.
L’osservazione diretta della formazione degli ammassi globulari è un compito estremamente difficile proprio a causa delle ridotte dimensioni di questi oggetti celesti, a cui si aggiunge, per complicare ulteriormente le cose, la loro bassa luminosità. Per avere un’idea di come sia arduo il compito degli astronomi, una moneta da 2 euro posta a Londra e osservata da Roma ha più o meno le stesse dimensioni apparenti attese per un ammasso globulare in formazione osservato in epoche remote, mentre la sua luminosità apparente è 10 miliardi di volte minore di quella della stella più debole visibile ad occhio nudo dalla Terra. Nonostante siano così flebili, un team internazionale di astronomi, in gran parte dell’Istituto nazionale di astrofisica presso le sedi di Bologna, Roma, Napoli, Trieste, Firenze e dell’Università di Ferrara, guidati da Eros Vanzella, dell’Inaf di Bologna, ha individuato quelli che potrebbero essere dei veri e propri “embrioni” di ammassi globulari risalenti alle prime epoche cosmiche, ovvero tra 11 e 12.5 miliardi di anni fa. L’idea che questi proto-ammassi globulari possano anche giocare un ruolo importante nel processo di reionizzazione dell’universo in cui la prima generazione di stelle, talmente brillanti e potenti da riuscire a spezzare gli atomi di idrogeno neutro intorno a loro, ionizzandolo, resero l’universo sempre più trasparente, rimane una possibilità più che plausibile ed intrigante, anche se tutta da verificare. Ed è stata proprio la ricerca di sorgenti lontanissime e deboli, potenzialmente responsabili della reionizzazione, che ha permesso al team di astronomi di esplorare nuovi valori di luminosità e dimensione fisica, compatibile con la definizione di super ammassi stellari e proto-ammassi globulari.
«Nel caso dei proto-ammassi globulari densi di stelle, le dimensioni risultano piccolissime, solo 50-130 anni luce e le loro luminosità estremamente deboli, fino addirittura a magnitudine 32», commenta Vanzella. L’identificazione di oggetti così flebili e compatti è stata resa possibile grazie alla sinergia di grandi osservatori come il telescopio spaziale Hubble di Nasa ed Esa (attraverso la survey Frontier Fields) e il Very Large Telescope (Vlt) dell’Eso sulle Ande cilene sfruttando le potenzialità del nuovo spettrografo Muse. Il tutto, abbinato a una tecnica, ormai consolidata, che utilizza l’effetto della lente gravitazionale sfruttando gli ammassi di galassie. Questi ultimi infatti sono le più potenti lenti gravitazionali osservabili in cielo e possono produrre ingrandimenti di sorgenti retrostanti, ad esempio proto-ammassi globulari, come dimostra l’ultimo lavoro del team accettato per la pubblicazione sulla rivista The Astrophysical Journal, pari a decine di volte.
«Gli effetti di lensing identificati in queste osservazioni hanno permesso di ottenere una mappatura della materia all’interno degli ammassi di galassie con una accuratezza mai ottenuta in precedenza, permettendo una fedele ricostruzione delle proprietà fisiche intrinseche degli oggetti ingranditi» commenta Massimo Meneghetti, dell’Inaf di Bologna, che ha partecipato allo studio.
Conoscendo la distribuzione di materia negli ammassi, l’effetto di lente gravitazionale può infatti essere rimosso, permettendo di ottenere importanti informazioni sulle vere dimensioni e luminosità delle sorgenti ingrandite. I risultati ottenuti hanno dato nuovo impulso alla ricerca in questo campo: tre programmi osservativi del team di astronomi e sempre a guida Inaf sono ora in corso di svolgimento al Vlt e potranno finalmente chiarire la natura delle popolazioni stellari mentre si formano nei-proto ammassi presi in esame e lo stato del gas ad esse circostante. «L’acquisizione di questi dati di primissima qualità contribuirà indubbiamente a svelare il mistero della formazione degli ammassi globulari e a investigare le sorgenti coinvolte nel processo di reionizzazione dell’universo, questioni entrambe cruciali nella cosmologia osservativa odierna» sottolinea Vanzella. «Questi due filoni di ricerca, apparentemente disgiunti, in realtà si fondono per dare risposta a un’unica domanda: cosa è successo nei primi miliardi di anni di vita dell’universo? I risultati di questo studio forniranno preziosi obiettivi osservativi anche per il nuovo telescopio spaziale James Webb».
Per saperne di più:
- Leggi il preprint dell’articolo “Magnifying the early episodes of star formation: super star clusters at cosmological distances“, di E. Vanzella, M. Castellano, M. Meneghetti, A. Mercurio, G. B. Caminha, G. Cupani, F. Calura, L. Christensen, E. Merlin, P. Rosati, M. Gronke, M. Dijkstra, M. Mignoli, R. Gilli, S. De Barros, K. Caputi, C. Grillo, I. Balestra, S. Cristiani, M. Nonino, E. Giallongo, A. Grazian, L. Pentericci, A. Fontana, A. Comastri, C. Vignali, G. Zamorani, M. Brusa, P. Bergamini, P. Tozzi
- leggi l’articolo “Paving the way for the JWST: witnessing globular cluster formation at z>3” di E. Vanzella, F. Calura, M. Meneghetti, A. Mercurio, M. Castellano, G. B. Caminha, I. Balestra, P. Rosati, P. Tozzi, S. De Barros, A. Grazian, A. D’Ercole, L. Ciotti, K. Caputi, C. Grillo, E. Merlin, L. Pentericci, A. Fontana, S. Cristiani e D. Coedi pubblicato sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society