Si chiama Gateway to the Sky, è disponibile da questa settimana, ed è il primo di una serie di libri di fotografie astronomiche realizzate – perlopiù dalla piazzola dell’Osservatorio astronomico della Regione autonoma Valle d’Aosta, nella valle di Saint-Barthélemy, a 1670 metri – da un team di astrofotografi coordinati da Paolo Calcidese. Responsabile per la didattica e la divulgazione all’osservatorio, Calcidese è un ricercatore esperto di nuclei galattici attivi, fa parte del Webt (un consorzio internazionale per lo studio degli Agn) ed è appassionato di astrofotografia. Lo abbiamo intervistato.
Gateway to the Sky. Calcidese, perché questo titolo?
«Perché è un viaggio. Come dice il sottotitolo, un viaggio per immagini nel cosmo. L’obiettivo è riuscire a fare divulgazione della cultura scientifica, in ambito astronomico, utilizzando la bellezza estetica delle immagini del cielo. E non sarà solo un volume: è un progetto più allargato, che prevede quattro volumi».
Questo primo volume si apre con una prefazione importante, un nome di peso fra gli appassionati di astrofotografia…
«Sì, la prefazione è di David Malin, un astronomo di origini anglo-australiane famoso per aver scoperto – prima che partisse il telescopio spaziale Hubble, che poi ha rivoluzionato tutto – particolare tecniche di tricromia per estrarre dati scientifici della lastre fotografiche. È anche un grandissimo astrofotografo, e grazie alle sue tecniche sono stati estratti dalle vecchie lastre fotografiche moltissimi dati scientifici rilevanti».
Come ha convinto Malin a scrivere la prefazione per Gateway to the Sky?
«Visto che lui – insieme ad Akira Fujii, un altro astrofotografo d’eccellenza, soprattutto per l’utilizzo della pellicola – è fra i maestri della fotografia astronomica, gli ho scritto una banalissima email, gli ho detto “Caro David, sto realizzando questo progetto, c’è un sito internet dedicato, prova a vedere se ti piace…”. Lui s’è entusiasmato, mi ha subito chiesto in che modo poteva partecipare e io gli ho proposto la prefazione: me l’ha mandata dopo 24 ore. Un testo incredibilmente poetico, che si conclude augurandoci di “poterne ricavare altrettanto divertimento e soddisfazione quanti ne abbiamo ricavati noi”. Dove “noi” si riferisce a se stesso e ad Akira Fujii, alla loro storia di astrofotografi, sia su pellicola che con le macchine digitali».
Veniamo alle fotografie, alla loro realizzazione: dove sono state scattate, da chi e con quali strumenti?
«Le fotografie sono state scattate praticamente tutte qui all’Osservatorio astronomico della Valle d’Aosta, che mi ha concesso di utilizzare gli spazi esterni dedicati al pubblico, le piazzole d’osservazione. La strumentazione è tutta nostra: ho coinvolto sette fotografi, tutti ampiamente “accessoriati”, diciamo: hanno della strumentazione veramente incredibile. Io ho curato l’opera, mi sono occupato dei testi, insieme al mio collega Davide Cenadelli, che ha un PhD in storia della fisica. Ho curato l’opera in generale, dandogli un senso, sia come impostazione e numerazione delle fotografie, dei soggetti da rappresentare, sia dal punto di vista dell’astronomia che vogliamo raccontare».
E che astronomia è, quella che volete raccontare?
«Un’astronomia un po’ diversa dal solito. Ormai c’è tutto, in rete, non volevamo metterci a ripetere. Dunque abbiamo deciso di regalare qualche chicca: qualche informazione dell’ultimo momento, visto che il lavoro che facciamo ci permette di essere aggiornati, ma anche qualche chicca storica, che di solito non viene presa in considerazione».
Il libro com’è strutturato?
«È diviso in sei stargate, le sei zone di cielo che siamo andati a coprire in questo primo volume. Quindi si va da Cefeo all’Auriga a Orione… Ogni capitolo ha un’introduzione, sia in italiano che in inglese, della zona che si vuole andare a esplorare, un’immagine a largo campo e una cartina dettagliata con tutti gli oggetti che si possono trovare in quella zona di cielo, sia a singola pagina sia a doppia pagina, 60 x 22 cm. Tutte queste immagini si trovano anche in rete, ma il bello è sedersi sulla propria poltrona e sfogliare il libro. Io che sono un appassionato di musica, se posso sentire un vinile anziché un cd, preferisco il vinile. Qui è lo stesso: invece di stare davanti a un freddo monitor, ti sfogli il tuo libro. Magari ascoltando un vinile».
Già che ci siamo: lei quale colonna sonora sceglierebbe, per sfogliare Gateway to the Sky?
«Be’, senza dubbio David Bowie».
Quanto lavoro di preparazione e quanto invece di postproduzione, dietro a queste fotografie? Ci sono più ore di esposizione o più ore su Photoshop?
«Più esposizione, certamente. Quello che ho chiesto ai ragazzi che ho selezionato per realizzare questo libro era di spingersi veramente oltre, perché l’astrofotografia ormai la fanno in tanti, quindi per ottenere dettagli raffinati – tipo le nebulosità intorno alla Polare, che non vedete da nessun’altra parte – bisognava fare veramente ore e ore di posa. L’astrofotografo, per definizione, va a caccia durante la notte, quindi si vuole portare a casa quante più foto possibile. Io invece li ho “obbligati” a ottenere una singola foto anche in due o tre notti consecutivamente, in modo tale da arrivare a tempi di esposizione di ore, o anche decine di ore. Per ottenere a fotografie che avessero quel “qualcosa in più”».
Ecco, quel “qualcosa in più”: fra le tante fotografie del libro, ce n’è una che sente più sua? Quella che ha, per lei come lettore, quel “qualcosa in più” che la rende speciale, che più delle altre la emoziona?
«Sì, si trova nella sezione che a me più compete, che è quella delle galassie, nel sesto e ultimo stargate. Ci sono numerose galassie, appunto, ma quella che secondo me è il top è M106: è un oggetto alquanto vicino a noi, ed è una galassia di Seyfert. Scattata la fotografia, mi sono reso conto della presenza – che il nostro astrofotografo aveva visto come un artefatto dell’immagine – di un “pinnacolino” rosso, che si vede andare verso il centro della galassia. Non è un artefatto: è un pinnacolo d’idrogeno che sta “cadendo”, andando ad alimentare il buco nero supermassivo centrale. Ho fatto una verifica sulle foto dello Hubble Space Telescope, ed effettivamente c’è. Siamo riusciti a beccarlo qui, da Saint-Barthélemy. Un risultato notevole, tanto che Luigi Foschini, astrofisico all’Inaf di Brera, ha voluto contribuire anche lui con un testo, proprio su questo».
Per procurarci il libro – che, ricordiamo, esce proprio questa settimana – come possiamo fare?
«Potete andare sul sito, www.gatewaytothesky.it, e compilare il modulo di richiesta. Oppure, se il progetto vi piace, visto che è tutto finanziato da me potete sostenerlo dalla pagina di crowdfunding. E riceverete anche il libro».