L’hanno individuata il 23 maggio scorso nel mare di dati raccolti dal satellite Gaia dell’Agenzia spaziale europea. E subito l’hanno battezzata “supernova heavy metal”: un nickname che si scrollerà di dosso a fatica. Evocativo al punto giusto, pertinente come accade di rado.
Uno dei tratti distintivi di Sn 2017egm, questo il nome ufficiale della supernova, è la potenza: appartiene alla categoria delle cosiddette superluminose, le più brillanti. «Sono supernove molto più luminose della media: emettono in qualche mese l’equivalente di energia che il Sole emetterebbe in 300 miliardi di anni», dice a Media Inaf Raffaella Margutti, laurea e dottorato alla Bicocca, attualmente astrofisica alla Northwestern University (Stati Uniti), nonché coautrice dello studio guidato da Matt Nicholl, di Harvard, in uscita su The Astrophysical Journal Letters. Intense e rare: negli ultimi dieci anni, fra le migliaia di supernove conosciute, di superluminose gli astronomi ne hanno individuate a stento una cinquantina. L’altra caratteristica che contraddistingue Sn 2017egm – quella che l’ha resa una “supernova con chiodo, borchie e anfibi” – è l’anomala quantità di “metalli” presenti nella galassia che la ospita, Ngc 3191. Metalli tra virgolette, perché gli astrofisici definiscono tali tutti gli elementi della tavola periodica più pesanti dell’elio, carbonio e ossigeno compresi. Metalli in quantità anomala, dicevamo, perché le galassie che di solito ospitano le supernove superluminose sono invece galassie nane a bassissima metallicità.
Insomma, una supernova che spacca. Ma c’è di più: fra tutte le supernove superluminose conosciute, Sn 2017egm è di gran lunga la più vicina a noi. Si trova infatti in una galassia a spirale – altra eccezione – situata in direzione del Grande Carro ad “appena” 420 milioni di anni luce dalla Terra: circa tre volte più vicina della precedente detentrice del record di prossimità.
«La domanda fondamentale che ci poniamo», spiega Margutti, «il centro focale della nostra ricerca, è molto semplice: qual è la sorgente di energia che alimenta queste esplosioni straordinarie? È chiaro che l’enorme quantità di energia rilasciata dalle supernove superluminose richiede fonti di energia diverse rispetto alle supernove normali. Al momento, l’ipotesi favorita è che queste supernove superluminose producano al loro interno delle stelle a neutroni molto molto magnetizzate e con rotazione fortissima – oggetti che chiamiamo magnetar, con circa una rotazione ogni millisecondo! –e che sia proprio la rotazione della magnetar a fornire l’energia necessaria alla supernova per brillare più delle altre».
«Al momento, però, non abbiamo prove concrete e dirette della magnetar: il problema», continua Margutti, «è che la magnetar nasce all’interno dell’esplosione, ma noi siamo “accecati” dall’esplosione, e dunque non vediamo la magnetar. Per questo motivo, così come quando per capire meglio le persone ci informiamo su dove vivono, allo stesso modo facciamo per queste supernove superluminose. Cerchiamo di capire “chi sono” imparando dalle caratteristiche dei luoghi dove nascono. Ed ecco la peculiarità di Sn 2017egm: fino ad ora le supernove superluminose hanno sempre “preferito” luoghi a basso contenuto di metalli, Sn 2017egm invece no. Averla trovata in un luogo molto ricco di metalli rappresenta un’informazione molto importante, perché ci dice che quello che ritenevamo un ingrediente necessario per formare una supernova superluminosa – ovvero, un ambiente povero di metalli – in realtà non lo è’ affatto. Le supernove superluminose possono accadere in ambienti ricchi di metalli».
Per saperne di più:
- Leggi il preprint dell’articolo “The superluminous supernova SN 2017egm in the nearby galaxy NGC 3191: a metal-rich environment can support a typical SLSN evolution”, di Matt Nicholl, Edo Berger, Raffaella Margutti, Peter K. Blanchard, James Guillochon, Joel Leja e Ryan Chornock