«Con questa ricerca dimostriamo che ci sono più di 100 milioni di buchi neri nella nostra galassia», esordisce James Bullock dell’Università della California – Irvine (Uci), fra gli autori di uno studio pubblicato sull’ultimo numero di Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. La ricerca che ha portato a questo risultato, un vero e proprio censimento celeste, ha avuto inizio più di un anno e mezzo fa, poco dopo la notizia della rivelazione, da parte degli interferometri Ligo, di increspature nel continuum spazio-temporale create dalla collisione fra due buchi neri lontanissimi, ognuno dei quali di dimensioni attorno alle 30 masse solari.
Un risultato che non giunge a sorpresa. È dello scorso anno, per esempio, uno studio pubblicato su Nature (ne parlammo anche su Media Inaf) – basato su modelli numerici d’evoluzione stellare – nel quale si anticipava la possibilità che le coppie di buchi neri destinate alla coalescenza, come quella che aveva prodotto le onde gravitazionali registrate dagli interferometri Ligo, non sarebbero rimaste le uniche.
«La rivelazione delle onde gravitazionali, confermando una previsione chiave della relatività generale di Einstein, è stato un colpaccio. Ma quando abbiamo considerato con più attenzione le sue implicazioni astrofisiche, la fusione di due buchi neri di circa 30 masse solari, siamo rimasti a dir poco sorpresi», ricorda Bullock, «e non abbiamo potuto fare a meno di chiederci quanti buchi neri di queste dimensioni ci siano, e quanto spesso finiscano per fondersi».
Il motivo dello stupore è dovuto al fatto che, stando ai modelli astrofisici più diffusi, i buchi neri stellari, quelli che si formano con collasso di una stella di grande massa giunta al termine della propria esistenza, dovrebbero avere grosso modo una massa come quella del Sole. Ora, vedere invece fondersene due di dimensioni epiche ha lasciato molti astrofisici – seppur non tutti – a dir poco perplessi.
La ricerca condotta dagli scienziati di Uci viene concepita partendo proprio dalla «stranezza della scoperta di Ligo», dice Bullock. Guidato da Oliver Elbert, dottorando a Uci, lo studio vuole interpretare le rilevazioni d’onde gravitazionali alla luce di quanto sappiamo sulla formazione delle galassie, al fine di comporre un quadro utile a comprendere analoghi eventi futuri. «Sulla base di ciò che sappiamo sulla formazione di stelle in diversi tipi di galassie, possiamo dedurre quando e quanti buchi neri si sono formati in ognuna di esse», spiega Elbert. «Le grandi galassie, per esempio, ospitano le stelle più vecchie, e anche i più vecchi fra i buchi neri».
Secondo Manoj Kaplinghat, anch’egli fra gli autori dello studio, la percentuale di buchi neri di una determinata massa presenti in una galassia dipenderà dalla dimensione della galassia stessa. La ragione è che le galassie più grandi hanno molte stelle ad alta metallicità, mentre le galassie nane sono popolate perlopiù da grandi stelle a bassa metallicità. Ora, le stelle che contengono molti elementi pesanti, come il nostro Sole, ne disperdono anche in quantità nel corso della loro esistenza. Così che, quando esplodono in supernova, la materia residua, quella che collasserà dopo l’esplosione, non è molta, dando origine a buchi neri di massa ridotta. Le grandi stelle a bassa metallicità, al contrario, non disperdono molta materia, e quando arrivano a fine vita quasi tutta la loro massa finirà nel buco nero, che a quel punto si ritroverà una massa considerevole.
Ma ci sono molte altre domande alle quali i ricercatori di Uci hanno cercato di dare risposta: sapere quanto spesso i buchi neri si manifestano in coppie, ogni quanto si fondono e quanto tempo ci vuole perché questo avvenga. Gli astrofisici vogliono capire se quei buchi neri da circa 30 masse solari la cui fusione è stata rivelata da Ligo si sono formati miliardi di anni fa, per poi fondersi molto più tardi, o se al contrario risalgano a epoche più recenti, e si siano dunque uniti dopo un intervallo molto breve.
Il team guidato da Bullock è convinto che vi saranno numerose nuove rilevazioni di onde gravitazionali, circostanza che consentirà di verificare se i buchi neri si scontrano principalmente nelle galassie giganti. Questo offrirebbe indizi importanti, aggiunge Elbert, per comprendere la fisica che li conduce alla coalescenza. «Se le ipotesi attuali sull’evoluzione stellare sono corrette», conclude Kaplingha, «nei prossimi anni dovremmo assistere a numerose fusioni fra buchi neri molto grandi, anche da 50 masse solari».
Per saperne di più:
- Leggi su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society l’articolo “Counting Black Holes: The Cosmic Stellar Remnant Population and Implications for LIGO“, di Oliver D. Elbert, James S. Bullock e Manoj Kaplinghat