Le comete sono una delle componenti dell’ampio e variegato gruppo dei corpi minori del Sistema solare. La loro caratteristica più peculiare, che le rende fin dall’antichità degli oggetti di straordinario interesse, è che avvicinandosi al Sole producono una chioma che si estende per centinaia di migliaia di km e, in alcuni casi, diventano gli oggetti più spettacolari osservabili nel cielo notturno.
In realtà il nucleo cometario ha una dimensione di pochi km e la chioma che vediamo è dovuta alla luce solare diffusa dalla polvere cometaria, un insieme di silicati, solfuri, ossidi e materiali organici,
All’avvicinarsi al Sole i ghiacci, principalmente di acqua e di anidride carbonica, presenti nel nucleo sublimano trasportando con sé le polveri. Al massimo avvicinamento al Sole si raggiungono picchi di perdita di massa che variano tra i 100 e 10mila kg al secondo. Le comete si evolvono perciò molto rapidamente e hanno una vita relativamente breve, che le porta a spegnersi (se la polvere forma una crosta e interrompe quindi l’attività di sublimazione) o a frammentarsi.
La missione Rosetta dell’Esa ha messo in evidenza come l’abbondanza delle molecole gassose non superi il 20 per cento della massa totale del nucleo, rivoluzionando le teorie precedenti che ipotizzavano un nucleo cometario composto principalmente di ghiacci.
I nuclei cometari sono planetesimi primordiali, residui della formazione del Sole e dei pianeti, che sono stati confinati fin dalle prima fasi di formazione del Sistema solare, 4.5 miliardi di anni fa, nelle parti più esterne del Sistema solare: nella Nube di Oort, una regione pressoché sferica che si estende fino alla distanza di circa 1.6 anni luce (o 100mila unità astronomiche) dal Sole, che rappresenta il serbatoio delle comete di lungo periodo, e nella Fascia di Kuiper (che si estende fra 30 e 50 unità astronomiche), da cui sono originate le comete di corto periodo. A fronte di circa 5500 comete conosciute, si ipotizza che la sola Nube di Oort contenga migliaia di miliardi di comete, per una massa totale pari a 5 Terre.
Studi in corso, domande aperte e coinvolgimento dell’Istituto nazionale di astrofisica
La missione Rosetta, alla quale l’Inaf ha attivamente partecipato e che si è conclusa il 30 settembre 2016, ha fornito una mole gigantesca di dati sulla morfologia, la composizione, il processi evolutivi di un nucleo cometario. Si è dimostrato come gli effetti stagionali abbiano un ruolo fondamentale nell’evoluzione del nucleo, principalmente a causa dell’eccentricità dell’orbita cometaria che determina forti disomogeneità nel bilancio energetico nei due emisferi.
La scoperta di una stratificazione di tipo globale che si estende per profondità anche di centinaia di metri, e che sembra essere di origine primordiale, non trova però una spiegazione nello schema attualmente adottato per l’accrescimento di un nucleo cometario. Il nucleo sembra essere omogeneo e con una densità di 533 kg/m3 (metà di quella dell’acqua), e ha preservato in tal modo i grani di polvere primordiale.
I risultati di Rosetta hanno evidenziato l’importanza dei processi di trasporto di materia tra le varie parti del Sistema solare primordiale. La componente solida del nucleo contiene infatti minerali formatisi ad alte temperature nelle regioni più interne della nebulosa protosolare (solfuri e silicati magnesiaci), mescolati assieme a materiale organico, molto più meccanicamente e termodinamicamente fragile, la cui formazione necessita di temperature non superiori ai 30 gradi Kelvin (-243 gradi centigradi) riscontrate a distanze maggiori di 20 unità astronomiche. Gran parte del materiale organico è sotto forma di composti polimerici macromolecolari del carbonio e di molecole più piccole, ma non meno interessanti per le potenziali implicazioni biologiche, come gli acidi carbossilici e gli amminoacidi. Quanto di questo materiale si è formato all’interno del Sistema solare e quanto era già presente nella nube molecolare presolare è un altro argomento di grande interesse. Lo studio dei processi che hanno reso possibile il trasporto e il mescolamento di materiali provenienti da zone così diverse della nebulosa è senz’altro un aspetto di estremo interesse per il futuro. In particolar modo, perché l’Inaf è direttamente impegnato nell’uso di grande strumentazione da Terra per l’osservazione di sistemi planetari in formazione, come per esempio Alma.
L’autore: Fabrizio Capaccioni è il direttore dell’Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziali dell’Inaf, a Roma
Su Media Inaf potrai trovare, mano a mano che verranno pubblicate, tutte le schede della rubrica dedicata a Voci e domande dell’astrofisica, scritte dalle ricercatrici e dai ricercatori dell’Istituto nazionale di astrofisica