Se per trasformare il vile metallo in oro non abbiamo ancora una pietra filosofale sufficientemente collaudata, un nuovo articolo uscito su Nature Astronomy fornisce la ricetta per creare diamanti dalla plastica. L’equipe internazionale di ricercatori, che ha condotto lo studio allo Stanford Linear Accelerator Center (Slac) in California, è stata infatti in grado, per la prima volta in assoluto, di osservare in tempo reale la fissione di idrocarburi e la conversione del carbonio in diamanti.
Il procedimento non è ovviamente alla portata di tutti, in quanto richiede un laser ottico ad alta potenza accoppiato a un altrettanto potente laser a raggi X; inoltre, i diamanti prodotti sono di dimensioni veramente esigue, dell’ordine del milionesimo di millimetro, e non durano affatto per sempre ma solo l’attimo di tempo necessario agli scienziati per registrare il successo dell’esperimento.
Esperimento che non è stato progettato con l’intento d’arricchirsi facilmente bensì di simulare le condizioni interne di pianeti giganti ghiacciati. Risultato: dentro Nettuno e Urano piovono diamanti. E belli grossi, anche. Gli autori del nuovo studio stimano, infatti, che nelle condizioni reali si produrrebbero diamanti di calibro ben maggiore rispetto al laboratorio, forse anche del peso di milioni di carati. Così pesanti, ipotizzano gli scienziati, che nell’arco di poche migliaia di anni potrebbero sprofondare nel ghiaccio giù verso il nucleo del pianeta, formandovi attorno uno spesso giacimento.
L’interno dei pianeti come Nettuno o Urano è costituito da un nucleo solido avvolto in un massiccio strato costituito principalmente da ghiaccio d’idrocarburi, d’acqua e d’ammoniaca. I planetologi sono convinti da diverso tempo che la pressione estrema rintracciabile a più di 10mila chilometri sotto la superficie di questi pianeti possa scindere gli idrocarburi, provocando la formazione di diamanti, i quali poi sprofonderebbero negli strati più interni del pianeta. Ma nessuno era riuscito finora a ricreare queste condizioni in laboratorio.
«Nel nostro esperimento, abbiamo esposto un tipo speciale di plastica – il polistirene, che si compone anche di un mix di carbonio e idrogeno – a condizioni simili a quelle all’interno di Nettuno o Urano», spiega Dominik Kraus del Helmholtz-Zentrum Dresden-Rossendorf, che ha guidato la ricerca.
Nell’esperimento, la plastica simula i composti formati dal metano, molecola con un solo atomo di carbonio legato a quattro atomi di idrogeno, responsabile peraltro della colorazione bluastra di Nettuno. I ricercatori hanno usato il laser ottico ad alta potenza per sottoporre i campioni di plastica a coppie di onde d’urto, opportunamente tarate per ottenere le condizioni di temperatura e pressione richieste, corrispondenti a circa 150 gigaPascal e 5mila gradi Celsius.
La maggior parte dei diamanti si forma quando le due onde d’urto si sovrappongono. Essendo un processo che dura solo una frazione di secondo, per “fotografarlo” i ricercatori hanno usato la tecnica di diffrazione ultraveloce in raggi X disponibile nei laboratori di Stanford, ottenendo informazioni in tempo reale sulle dimensioni dei diamanti e i dettagli delle reazioni chimiche in corso.
I diamanti “alieni” sono frequentemente oggetto di attenzione da parte dei ricercatori, basti ricordare l’ipotesi di pianeti rocciosi formati in grossa parte da diamante, come pare essere 55 cancri E, nonché il pianeta attorno alla pulsar PSR J1719-1438; l’ipotesi di grandinate di diamante su Giove e Saturno, di oceani di diamante sulla superficie di Urano e Nettuno; esperimenti come la compressione di campioni di diamanti fino a 50 milioni di volte la pressione atmosferica della Terra, paragonabile alla pressione esercitata al centro di Saturno.
Secondo gli autori del nuovo studio, questa è la prima osservazione inequivocabile della formazione di diamante ad alta pressione da miscele. Risultando in accordo con le previsioni teoriche circa le condizioni alle quali tale reazione può avvenire, fornirà gli scienziati migliori informazioni per descrivere e classificare i pianeti extrasolari.
«I processi chimici che avvengono all’interno di un pianeta possono dirci qualcosa sulle sue proprietà fondamentali», conclude Kraus. «Questo ci permette di migliorare i modelli planetari. Come mostrano i nostri studi, le simulazioni precedenti non erano accurate».
Per saperne di più:
- Leggi l’articolo pubblicato su Nature Astronomy “Formation of diamonds in laser-compressed hydrocarbons at planetary interior conditions”, di D. Kraus, J. Vorberger, A. Pak, N. J. Hartley, L. B. Fletcher, S. Frydrych, E. Galtier, E. J. Gamboa, D. O. Gericke, S. H. Glenzer, E. Granados, M. J. MacDonald, A. J. MacKinnon, E. E. McBride, I. Nam, P. Neumayer, M. Roth, A. M. Saunders, A. K. Schuster, P. Sun, T. van Driel, T. Döppner & R. W. Falcone