L’origine dei raggi cosmici, particelle cariche elettricamente che bombardano la Terra incessantemente, è tra le più intriganti domande in astrofisica. Scoperti nel 1912, i raggi cosmici sono in larga parte prodotti dalle onde d’urto, ad esempio emesse nelle esplosioni di supernova. Le particelle più energetiche hanno un’energia circa 10 milioni di volte superiore all’energia massima che viene generata negli acceleratori sulla Terra, come il Large Hadron Collider al Cern di Ginevra.
Uno studio pubblicato di recente su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society rivela ora proprietà inattese che potranno aiutare gli scienziati a comprendere meglio l’origine dei raggi cosmici. Il nuovo risultato rappresenta un progresso significativo nella comprensione dell’accelerazione della particelle nelle onde d’urto, tradizionalmente considerate la principale sorgente di particelle energetiche nell’universo.
La nebulosa del Granchio, vestigia di una esplosione di supernova avvenuta nell’anno 1054 a circa 6500 anni luce dalla Terra, è uno degli oggetti più studiati nella storia dell’astronomia ed è osservata su tutto lo spettro elettromagnetico, dal radio al gamma. Nel caso di questa nebulosa, quello che vediamo sono fotoni emessi da particelle accelerate che non hanno ancora lasciato la sorgente: possiamo solo osservare la radiazione elettromagnetica emessa. Quindi gli scienziati devono costruire modelli, che riproducono lo spettro della radiazione osservata.
Secondo il modello attualmente più accreditato dell’accelerazione di particelle alle onde d’urto, le particelle sono confinate in prossimità dello shock dalle fluttuazioni del campo magnetico; la loro velocità aumenta a causa di continui attraversamenti a monte e a valle della superficie dell’onda d’urto, analogamente ad una palla da tennis che rimbalza tra due racchette in avvicinamento, e si avvicina sempre più alla velocità della luce.
Dalle osservazioni della nebulosa del Granchio, sembra impossibile che una sola popolazione di elettroni possa produrre l’intero spettro osservato. «Il modello attuale non include quello che succede alle particelle quando arrivano all’energia massima», spiega il primo autore dello studio, Federico Fraschetti, ricercatore al Dipartimento di scienze planetarie, astronomia e fisica della University of Arizona. «Solo se si include un processo di accelerazione differente per la particelle più energetiche è possibile spiegare lo spettro osservato. Quello che vediamo dalla nebulosa del Granchio proviene solo dagli elettroni più energetici che devono accelerare in un modo differente da come abbiamo pensato fino ad ora».
Per saperne di più:
- Leggi su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society l’articolo “Particle acceleration model for the broad-band baseline spectrum of the Crab nebula“, di F. Fraschetti e M. Pohl