Non c’è niente da fare: ti prende un senso di vertigine di fronte al telescopio rifrattore Merz-Repsold da 49 centimetri, uno dei più grandi investimenti scientifici del neonato Regno d’Italia, che Giovanni Virginio Schiaparelli utilizzò per perfezionare le sue osservazioni del pianeta Marte dal 1886 al 1890.
Nella sua nuova collocazione, presso la sezione astronomica del Museo della Scienza e della Tecnologia “Leonardo da Vinci” di Milano, lo strumento acquisisce una presenza fisica degna di un tirannosauro, con un tubo ottico di oltre sette metri, montato su un sostegno alto 5 metri, per una massa complessiva di ben 7 tonnellate. Eppure non sono le dimensioni che ti fanno mancare il fiato, mentre cerchi di cogliere con lo sguardo il grande telescopio.
C’è qualcosa di più sottile e insidioso: un fascino che s’intuisce ma non si coglie del tutto. Qualcosa di sbagliato, che ha il sapore dell’impossibile o dell’indebito, come un delitto senza castigo. Come se il tirannosauro sorridesse con consapevolezza – estinto, ma soddisfatto di se stesso.
Mentre lo guardi, ti ritrovi in testa sapori, odori, suoni improvvisi, fatti da cassoeula lombarda e filati di cotone, escargot parigine e Carmina Burana. Con un retrogusto che non ti aspetteresti e che è diabolicamente fuori moda al giorno di oggi: un retrogusto di tenerezza.
È che il telescopio, ormai cieco perché privo dell’obiettivo originale, funziona benissimo come macchina del tempo. Basta un’occhiata e la mente del visitatore viene agganciata e trasportata in notti e giorni di più di 130 anni fa, in una Milano nebbiosa, ottimista e scomparsa, che aveva da poco salutato Alessandro Manzoni e Francesco Hayez, ma che aveva conosciuto la poetica dei I malavoglia; una città umida e vitale nella quale, a poca distanza dal Duomo, era stata appena fondata la prima centrale elettrica d’Europa e che puntava a divenire una delle capitali della conoscenza scientifica del continente. Siamo nel 1886 e il grande telescopio era, all’epoca, davvero un telescopio: installato in una cupola che adesso non c’è più, sui tetti dell’Osservatorio di Brera scrutava Marte con un obiettivo preciso: capire che cosa ci fosse veramente sulla superficie del Pianeta rosso.
La storia è ben nota: nell’estate di nove anni prima, nel 1877, Schiaparelli, direttore dell’Osservatorio di Brera, aveva approfittato di una fortunata congiunzione orbitale per osservare Marte. Non c’era nessun motivo per farlo, se non che il Pianeta rosso era particolarmente ben visibile e Schiaparelli particolarmente curioso. L’astronomo aveva utilizzato un telescopio Merz con un obiettivo di 21 cm di ottima qualità ottica, inaugurando la moderna planetologia comparata e suscitando enorme impressione a livello internazionale: per la prima volta si vedevano dettagli del tutto ignoti della superficie del pianeta. Schiaparelli aveva chiamato “mari” le zone più scure, “continenti” quelle più chiare. E battezza poi “canali” una fitta rete di linee scure, fatta di semplici segmenti: da lì a là su Marte. Il dibattito scientifico scoppia e, non appena se ne presenta l’occasione, Schiaparelli chiede e ottiene un nuovo strumento per approfondire le osservazioni: il Merz-Repsold, appunto. Che cosa c’è veramente su Marte?
Di lì a poco, per una fortunata maltraduzione in inglese, i canali osservati da Schiaparelli divennero canali artificiali. Grazie a Percival Lowell negli Usa e Camille Flammarion in Francia, dalla scienza piovve nella fantasia degli uomini: l’immaginario non aspettava altro. Nel 1897, Herbert George Wells pubblicò La guerra dei mondi, che avvia l’epopea della letteratura marziana. Tempo dieci anni e anche il nostro Emilio Salgari si cimenterà con i “martiani”, con Le meraviglie del 2000: no, non sfiora neanche i livelli di Sandokan. Ma ci ha provato.
Diciamolo chiaro: non ci importa oggi che Schiaparelli sia stato vittima di un fenomeno percettivo; poco ci importa anche che su Marte non vi siano né canali artificiali né una razza intelligente. Poco ci importa perché dalla torre di nord-est dell’osservatorio astronomico di Brera, la messe di immagini, di visioni, di spunti, stimoli, paure, contrasti, sentimenti delicati e feroci, è stata tale da aver inoculato per sempre nel pensiero umano la certezza che non siamo soli nell’universo. E che gli altri, alieni o meno, sono né più né meno quel che noi umani siamo per loro. Schiaparelli e il Merz-Rapsold ci hanno regalato, in modo definitivo, il punto di vista.
Il telescopio restaurato sarà presentato al pubblico in occasione di Meet Me Tonigth – Notte Europea dei Ricercatori del 29 settembre, alle 19, alla presenza del presidente dell’Inaf Nichi D’Amico e del direttore dell’Osservatorio astronomico dell’Inaf di Brera Gianpiero Tagliaferri.
Per saperne di più, guarda l’intervista video ad Agnese Mandrino (Inaf Brera):
Il recupero e il restauro del telescopio è stato affidato dall’Inaf all’Associazione per il restauro degli antichi strumenti scientifici, che ha curato lo studio del restauro, le ricerche storiche e la ricostruzione di tutte le parti mancanti. Il restauro è stato possibile grazie all’intervento della Commissione bilancio della Camera, della Fondazione Banca del Monte di Lombardia, della Fondazione Cariplo e dell’Inaf.
Per visitare l’INAF-Osservatorio Astronomico di Brera, il Museo Astronomico di Brera e la cupola di Schiaparelli: www.brera.inaf.it
Museo della scienza e della tecnologia “Leonardo da Vinci”: http://www.museoscienza.org/
Correzione del 15.09.2017: alla lista dei finanziatori del restauro è stata aggiunta la Fondazione Banca del Monte di Lombardia.