La giornata odierna rappresenta il coronamento non di uno, ma di ben due ambiziosi progetti scientifici: la sonda Cassini-Huygens si tuffa nell’atmosfera di Saturno – ultimo atto di un viaggio straordinario durato vent’anni e che ha enormemente ampliato la nostra conoscenza dell’Universo – e questo gran finale segna anche il debutto della Sardinia Deep Space Antenna (Sdsa), ovvero la configurazione del Sardinia Radio Telescope per il Deep Space Network a supporto di missioni interplanetarie, equipaggiando in modo adeguato lo straordinario telescopio realizzato dall’Inaf. Questo progetto, destinato allo studio dell’universo e dei suoi misteri, è stato reso possibile dalla stretta collaborazione con l’Agenzia spaziale italiana, la Regione Sardegna – che rafforza sempre di più il suo ruolo nella rete mondiale dell’aerospazio – e il Ministero dell’istruzione, università e ricerca. Un lavoro che dimostra che l’Italia – quando fa squadra – è in grado di raggiungere risultati straordinari.
La missione Cassini segna la fine di un percorso, la configurazione per lo spazio profondo dell’Srt rappresenta l’inizio di un nuovo cammino. In comune c’è la scienza italiana, che dimostra ancora una volta di essere ai vertici nel mondo.
Gli accordi stipulati tra Asi e Inaf per l’utilizzo dell’Sdsa prevedono attività in comune su una molteplicità di possibili impieghi, capacità che sarà ulteriormente incrementata in fasi successive per dare al paese una piena deep space ground capability che permetterà all’Italia di essere sempre più coinvolta nelle missioni interplanetarie in corso e future. Il Sardinia Deep Space Antenna a partire da gennaio diventerà ufficialmente operativo nell’ambito del Deep Space Network della Nasa, ma fornirà servizi di comunicazione e navigazione anche per le sonde interplanetarie europee, specializzandosi in particolare per quelle marziane, in vista della Human Exploration del pianeta. Un capitolo ancora tutto da scrivere nella storia dell’uomo.
Il capitolo che si conclude oggi viene parte invece da molto lontano, quando un altro italiano, Giovanni Domenico Cassini, che fu professore di astronomia all’Università di Bologna e divenne nel 1671 il direttore dell’Osservatorio di Parigi, un precursore della collaborazione scientifica internazionale, scoprì quattro satelliti di Saturno. Scoprì inoltre la Divisione di Cassini negli anelli di Saturno, a lui intitolata.
Oggi la sonda, che porta il suo nome per onorarne la memoria, sparirà nell’atmosfera del pianeta che fu oggetto delle sue osservazioni, ma nel nostro paese la strada che Cassini ha aperto è percorsa da tantissimi scienziati, molti dei quali lavorano all’Inaf. Molte delle scoperte sensazionali fatte nel corso di questa lunghissima missione sono state rese possibili grazie al loro contributo alla strumentazione della sonda: quattro sono i membri del Team Scientifico dello spettrometro Vims e tre i participating scientists, tutti dell’Istituto di Astrofisica e planetologia spaziali di Roma dell’Inaf. Hanno prodotto circa il 20 per cento delle pubblicazioni scientifiche generate dai dati dello strumento, che si è dimostrato uno dei principali a bordo della sonda. Una grande soddisfazione per il nostro Istituto, viste le sbalorditive scoperte che è stato possibile fare nel corso di questi 10 anni grazie al contributo di Vims: dimostrare che Phoebe si è formato lontano dal Sole e che Saturno lo ha catturato nelle fasi primordiali del Sistema solare, dimostrare che i laghi di Titano sono formati da idrocarburi, supporre la presenza di un oceano liquido sotto la crosta ghiacciata di Encelado.
E chissà quali altre sorprese ci attendono in questo ultimo tuffo che ci porterà un passo più avanti nella comprensione del nostro Universo.