Ha salutato la Terra per l’ultima volta prima di fuggire lontana nello spazio alla conquista dell’asteroide Bennu. La sonda Nasa Osiris-Rex, complicato acronimo che sta per Origins Spectral Interpretation Resource Identification Security Regolith Explorer, ha completato un’orbita attorno al Sole approfittando della Terra come fionda gravitazionale per raggiungere la sua destinazione finale.
Mai così vicina dal 9 settembre 2016, quando la sonda ha lasciato la rampa di lancio di Cape Canaveral in direzione dello spazio siderale. E fra i pochissimi che sono riusciti a intercettare la sonda nella sua traiettoria di avvicinamento alla Terra a una distanza oltre la Luna, circa 450mila chilometri, c’è il telescopio Cassini di Loiano, frutto di una collaborazione fra l’Istituto nazionale di Astrofisica e l’Università di Bologna.
«Cassini non è nuovo a queste “chicche” spaziali e anche questa volta non ha deluso le aspettative», spiega Alberto Buzzoni dell’Istituto nazionale di astrofisica. La sonda Nasa ha portato a termine la manovra di flyby sulla Terra lo scorso 22 settembre. L’astronave è entrata nella zona di influenza gravitazionale del nostro pianeta nel corso della notte del 19 settembre, per poi sfiorarne la superficie nel pomeriggio del 22 sorvolando l’Antartide a una quota di 17mila chilometri, ben al di sotto della quota a cui troviamo i satelliti televisivi geostazionari o quelli delle reti di posizionamento globale.
«La notte del 21 settembre, insieme al mio team di Space Situational Awareness, siamo riusciti a osservare la manovra di avvicinamento finale della sonda Nasa che, con avendo grossomodo le dimensioni di un camper da turismo, è stato facile intercettare nella sua rotta di avvicinamento alla Terra», spiega Buzzoni. «Il telescopio Cassini ha seguito la sua corsa nel cielo per quattro ore consecutive portando a termine misure di astrometria di precisione della traiettoria, fotometria Bvri e spettroscopia di riflettanza ottica in bassa risoluzione. Parte di questi dati raccolti è in corso di processamento all’Esrin di Frascati a contributo del controllo delle operazioni di flyby e per valutare eventuali correzioni d’orbita da apportare nel proseguo della missione».
Osiris-Rex è fra le missioni selezionate nell’ambito del programma New-Frontiers e promette di riportare a Terra il primo campione di un asteroide prelevato “in vivo”. Se tutto va bene potremmo averlo qui per il 2023.
La rilevanza di Bennu, un membro della famiglia Apollo e delle dimensioni di circa 500 metri, sta nel fatto che, fra quelli che sono conosciuti come Near Earth Object (NEO), viene ritenuto potenzialmente pericoloso. Esiste insomma una remota ma non disprezzabile probabilità che possa caderci “in testa” nei prossimi due secoli. Per scongiurare definitivamente questa catastrofica evenienza, vien da sè, è determinante raccogliere informazioni sulla composizione fisica dell’asteroide da cui dipendono effetti dinamici non gravitazionali piccoli ma potenzialmente decisivi per determinare nel dettaglio l’evoluzione della sua orbita.
Si tratta insomma di una missione estremamente ambiziosa. E non dimentichiamo che Bennu potrebbe anche mostrarci per la prima volta quale sia l’origine della materia organica che più di quattro miliardi di anni fa, cadendo sulla Terra, ha dato l’avvio alla nascita della vita sul nostro pianeta. È un asteroide ricco di carbonio e rimasto praticamente inalterato dalla formazione del Sistema Solare.
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