IL SATELLITE CHE HA INAUGURATO L’ERA SPAZIALE

Sputnik: 60 anni fa lo storico lancio

Il 4 ottobre del 1957 l’Unione Sovietica lanciava il "satellite semplice", lo Sputnik: simbolo di un’era storica e scintilla che ha acceso la corsa allo spazio. Una sfera di metallo che è l’antenata delle sonde high-tech dei nostri giorni

     04/10/2017

Lo Sputnik: una lucida sfera di metallo riflettente unita a quattro antenne. Crediti: Wikipedia

Sputnik: un nome (prosaicamente, “satellite” in russo) capace di evocare immagini ormai scolpite nella coscienza collettiva: la guerra fredda, l’orgoglio sovietico, la corsa allo spazio, e gli incredibili primi passi intrapresi dalla specie umana verso l’esplorazione spaziale. A 60 anni da quel 4 ottobre del 1957, giorno in cui il primo satellite artificiale venne lanciato verso lo spazio a bordo di un razzo R-7, possiamo celebrare questo evento come una pietra miliare nella storia delle missioni spaziali mondiali, e vedere la “Luna Rossa Sovietica” come il nonno di Cassini e delle numerose sonde, presenti e future, che ci permettono di comprendere meglio il nostro Sistema solare.

Sergei Korolov, ingegnere capo e direttore della missione Sp-1: il padre dello Sputnik. Crediti: Wikipedia.

Con il senno del poi, è facile meravigliarsi della – relativamente a oggi – bassa tecnologia che permise agli scienziati sovietici di mettere un satellite funzionante, sebbene rudimentale, in orbita attorno al nostro pianeta. Persino il design minimale del satellite, oggi iconico, ha un che di retro: una larga sfera cromata con lunghe antenne da insetto — un’estetica paradigmaticamente “spaziale” nell’immaginario degli anni ’50. Un design, tra l’altro, fortemente voluto dallo scienziato a capo del progetto, Sergei Korolev: la larga sfera cromata sarebbe dovuta essere sufficientemente grande e lucidata a specchio per così riflettere la luce solare ed essere ben visibile da terra e, in particolare, dal nemico: gli Stati Uniti.

Largo appena 58,42 centimetri (più le antenne) e pesante 83,46 chilogrammi, lo Sputnik – o Ps-1 (acronimo di prostreishy sputnik: satellite semplice) – consisteva fondamentalmente in due trasmettitori radio protetti da un guscio sferico di materiali isolanti e mantenuti in vita da enormi batterie all’ossido di argento, pesanti più di 55 chilogrammi: quasi tre quarti del peso totale del satellite. Anche in questo caso, considerazioni di tipo politico e psicologico ebbero tanto peso quanto quelle scientifiche: lo Sputnik avrebbe dovuto trasmettere segnali radio ricevibili da qualsiasi radio terrestre. Infatti, il caratteristico e ormai celebre beep beep dello Sputink venne ascoltato da radioamatori in tutto il globo. Nelle intenzioni di Korolev  – che dovette vincere lo scetticismo dei vertici militari russi, dubbiosi sul valore strategico di questo semplice trasmettitore orbitale – lo Sputnik sarebbe stato un vero e proprio faro di propaganda Sovietica, visibile ed ascoltabile dall’intera specie umana.

La struttura interna dello Sputnik: due trasmettitori, batterie, e impianto di raffreddamento sigillati dentro a una sfera pressurizzata. Crediti: HistoricWings.com

Il fragile Sputnik riuscì – fortunosamente – a sopravvivere alle tremende pressioni del lancio, ed orbitò il pianeta alla velocità di quasi 30.000 chilometri all’ora (compiendo dunque un’orbita intera della Terra in appena un’ora e mezzo) e trasmettendo i suoi segnali radio per 22 giorni (l’autonomia massima permessa dalle due batterie), spegnendosi il 26 ottobre 1957. Il 4 gennaio dell’anno successivo l’orbita ormai deteriorata del satellite lo portò ad entrare nell’atmosfera, bruciando nel rientro.

Benché di breve durata, la missione fu considerata un enorme successo in Unione Sovietica, e vista come un oscuro presagio negli Stati Uniti, dove l’exploit tecnologico russo venne percepito come segno di una superiore capacità ingegneristica e balistica (gli Stati Uniti si affrettarono a mettere in orbita il loro primo satellite – l’Explorer – subito dopo il rientro dello Sputnik, il 31 gennaio 1958). Infatti, gli anni ’60 furono dominati dal programma spaziale sovietico (si pensi a Yuri Gagarin, primo uomo nello spazio, e le prime sonde capaci di raggiungere la Luna e Venere) un dominio spodestato solo grazie alla vittoria, scientifica e politica, dell’atterraggio lunare dell’Apollo 11. Oggi, a quasi trent’anni dalla fine della Guerra Fredda, possiamo vedere retrospettivamente lo Sputnik come la scintilla che accese l’industria aerospaziale mondiale, oggi fortunatamente orientata verso la ricerca scientifica piuttosto che guidata da obiettivi militari.

Nelle ultime sei decadi, dunque, siamo passati dalla Luna Rossa sovietica ai piani per raggiungere il Pianeta Rosso: quelli proposti oggi da Elon Musk e la sua SpaceX. Chissà se, per il centenario dello Sputnik, nel 2057, non potremo veramente celebrarlo come il primo – titubante ma pionieristico – passo che avrà aperto la strada alla colonizzazione umana del Sistema solare.

Guarda il video realizzato nell’ottobre del 2007 in occasione dell’iniziativa Sputnik 50: mezzo secolo di esplorazioni spaziali, promossa dagli enti astronomici bolognesi: