Appare all’improvviso nel cielo, dove prima non c’era nulla e scompare in pochi mesi. Questo è l’evento che i nostri antenati hanno battezzato con il nome di nova. Un fatto eccezionale, spesso associato a eventi mitici o catastrofici. E anche ai nostri giorni la comparsa della nova Smcn 2016-10a nei cieli dell’emisfero australe ha catturato l’attenzione. Anche perché questa sembra essere la più luminosa mai osservata.
Oggi sappiamo che il fenomeno delle novae è legato ai meccanismi evolutivi dei sistemi binari, ovvero di due stelle che orbitano attorno a un centro di massa comune. Questi sistemi sono formati da una stella compagna tipo il nostro Sole e da una nana bianca, cioè ciò che rimane alla fine dell’evoluzione stellare. In sostanza il cadavere di una stella. In questi sistemi, chiamate variabili cataclismiche, la stella compagna, a causa dell’interazione gravitazionale, cede materia alla nana bianca. Questa materia si accumula sulla superficie della stella finché, raggiunta la densità critica, si innesca una reazione termonucleare che genera un’esplosione. Questo fa sì che entro pochi giorni la luminosità della stella cresca anche di 12 magnitudini, rendendo visibili ad occhio nudo oggetti che prima non lo erano. Tuttavia nel giro di pochi mesi la luminosità diminuisce fino a tornare ai valori originali. Si dice che il sistema torna in quiescenza.
La scoperta è stata fatta il 14 ottobre 2016, in direzione della Piccola nube di Magellano, una galassia che, benché disti 200mila anni luce da noi, è tra i vicini più prossimi che abbiamo insieme alla galassia di Andromeda. La nova è stata osservata con telescopi situati in Sud Africa, Australia e Sud America e anche dallo spazio con il satellite Swift. Questo perché, come racconta una delle autrici dell’articolo, Marina Orio dell’Inaf–Osservatorio di Padova, «quando avviene l’esplosione, la nova emette in tutte le lunghezze d’onda, dal gamma al radio, diventando luminosissima».
Il fenomeno delle novae non è raro. Nella nostra galassia si presentano con un tasso di circa 35 ogni anno. Tuttavia dal 2012 non si osservavano esplosioni di questo genere nella Piccola nube di Magellano. Averne potuta osservare una è una grande risorsa per i ricercatori. «Le novae nelle nubi di Magellano sono particolarmente interessanti perché sono a distanza nota e permettono il confronto con un ambiente con composizione chimica diversa, più povero di elementi pesanti», spiega infatti la ricercatrice. Inoltre la sua straordinaria luminosità potrebbe essere l’indizio della sua appartenenza a «una classe specifica con caratteristiche particolari, e per saperlo», conclude Orio, «dobbiamo studiarla quando ritornerà in stato quiescente».
Per saperne di più:
- Leggi un’anteprima dell’articolo che sarà pubblicato sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society