“BILANCIAMENTO DEL BIANCO” SPAZIALE

Quant’è chiaro il chiaro di Luna?

L’ente metrologico statunitense Nist vuole fare della luna il campione non solo dei poeti ma di tutte le fotocamere dei satelliti di sorveglianza terrestre, in modo che siano calibrate alla stessa maniera. Ne abbiamo parlato con Alberto Buzzoni dell’Inaf di Bologna

     18/10/2017

Luna calante nel campus del Nist. Queste cupole ospiteranno l’attrezzatura utilizzata nell’esperimento di luminosità della Luna, con destinazione finale l’Osservatorio di Mauna Loa nelle Hawaii. Crediti: Jennifer Lauren Lee/Nist

Probabilmente è successo a molti di accorgersi come una determinata immagine appaia con colori diversi a seconda dello schermo su cui è visualizzata. Oppure, al contrario, che una stessa scena ripresa da diversi apparecchi fotografici mostri cromatismi anche significativamente non coincidenti.

Questo esempio può rendere l’idea di quanto sia cruciale un’operazione di perfetta “taratura dei colori” per le fotocamere installate a bordo dei satelliti che sorvegliano la terra dello spazio: dalle loro immagini può dipendere l’esatta previsione di un fenomeno meteorologico nefasto, di un raccolto scarso, di una fioritura algale nociva nell’oceano, e molto altro ancora.

Per assicurarsi che un ‘verde’ ripreso da un satellite non sia invece ‘giallo’ per un altro, ogni fotocamera viene calibrata nello spazio servendosi di una sorgente comune. Una sorgente particolarmente conveniente è la Luna, perché, a differenza della Terra, non ha atmosfera e le sue variazioni superficiali sono assai scarse. Inoltre, la sua luminosità – ovvero la quantità di luce riflessa dalla sua superficie sotto tutti gli angoli a cui si viene a trovare rispetto a Sole e Terra in un ciclo ventennale – è conosciuta con scarti di pochi punti percentuali.

Secondo Stephen Maxwell del National Institute of Standards and Technology (Nist), questa precisione non è sufficiente per le esigenze di misurazione più sensibili. Così l’ente metrologico statunitense ha lanciato un progetto per arrivare a un’accuratezza molto inferiore all’uno per cento.

Per catturare il chiaro di luna nel loro nuovo esperimento, i ricercatori del Nist utilizzeranno un piccolo telescopio da 15 cm, progettato per raccogliere informazioni uniformi lungo lo spettro elettromagnetico, dalle radiazioni ultraviolette fino al vicino infrarosso. Un’apposita sorgente luminosa, fissa e stabile, permetterà di calibrare a sua volta le osservazioni del telescopio e uniformarle al Sistema internazionale di unità di misura (SI). Osservazioni che verranno effettuate, a partire dal 2018, in un arco di tempo tra i tre e i cinque anni, all’Osservatorio di Mauna Loa alle Hawaii, a 3300 metri d’altitudine. Delle misurazioni potranno beneficiare serie di satelliti come, ad esempio, i Landsat o i Goes-R.

Aberto Buzzoni

«Lo scopo è misurare il flusso bolometrico della Luna, cioè la quantità di energia proveniente dal Sole che ci arriva riflessa dalla Luna», spiega a Media Inaf Alberto Buzzoni dell’Inaf di Bologna, al quale ci siamo rivolti per un commento. «La luce solare di input la si può calcolare con buona precisione, mentre quella riflessa dipende dalle condizioni geometriche di illuminazione sulla Luna, dalla consistenza del terreno e dai particolari orografici (montagne, crateri) che agiscono facendo ombra o meno. L’insieme di tutte queste possibili complesse configurazioni si ripete sostanzialmente in un ciclo di Saros (quello che regola anche la successione delle eclissi), ma naturalmente la gran parte dei casi viene di fatto campionata lungo il classico mese lunare, con lo scorrere delle fasi che conosciamo. Questo permette quindi di ridurre il periodo di osservazione non a un ventennio ma a pochi anni (per campionare, di fatto la quasi totalità di combinazioni geometriche)».

«La necessità di osservare in bolometrico», continua Buzzoni, «deriva dal fatto che solo così possiamo confrontare in maniera consistente il flusso di input con la luce di output, integrando su un larghissimo intervallo di lunghezza d’onda, dall’ultravioletto all’infrarosso. Questo perché i materiali del suolo lunare riemettono in maniera selettiva al variare della lunghezza d’onda. Quindi, per avere un bilancio energetico consistente con il bolometrico che arriva dal Sole, bisogna raccogliere i fotoni lunari a tutte le lunghezze d’onda. Per fare questo usano delle ottiche “non standard”, in grado di far passare appunto tutto il ventaglio di fotoni. Il rapporto dei due valori di input e di output “mediato” su tutte le possibili configurazioni di illuminazione, permette alla fine di valutare in maniera precisa l’Albedo di Bond: una misura importante che permette, appunto, di scalare l’energia che viene riemessa rispetto a quella ricevuta».

«Detto questo, faccio naturalmente i più sentiti auguri ai colleghi del Nist per l’ambiziosissimo progetto», dice Buzzoni, «che, se dovesse andare in porto al livello di precisione aspettato, naturalmente darebbe un interessante contributo nella direzione di identificare alcune “candele standard” a cui agganciare le nostre osservazioni, da satellite e da Terra. Al di là dell’interesse accademico, comunque, è cosa nota fra gli astronomi che la Luna è, assai
più spesso, un “pericoloso nemico” delle osservazioni. A un grande telescopio, una notte di Luna vale scientificamente (ed economicamente) assai meno che una notte senza Luna. Tutti sappiamo che, con la Luna, il cielo è certamente più romantico… ma astronomicamente molto più brillante, e le
galassie più deboli e lontane scompaiono nel chiarore».

«Nel caso delle osservazioni da satellite (ad esempio con il telescopio spaziale Hubble o con altri telescopi nello spazio), poi, si considera “peccato mortale” intercettare la Luna con i sensori di bordo, nel corso delle manovre di movimento e puntamento dell’astronave», avverte Buzzoni. «Questo, pena il danneggiamento (irreversibile) dei sensori di bordo e… pena “il taglio delle mani”, come ricordo mi raccontava con enfasi tutta latina l’ingegnere spagnolo che operava alla stazione Esa di Villafranca del Castillo, quando, da giovane ricercatore, tanti anni fa, mi capitava di andare in Spagna ad osservare con il satellite ultravioletto Iue».

«Non ho mai saputo se le mani le tagliassero davvero o no», conclude Buzzoni, «ma ricordo che verificai nelle pause pranzo, e fu rassicurante osservare che tutti colleghi di ESA in mensa usavano forchetta e coltello con i loro arti completi… Ma certamente, se tutti gli innamorati del pianeta sognano alla tenue luce della Luna, gli sguardi degli operatori satellitari diventano smarriti al solo risuonare di questo nome e, come Leopardi, si chiedono preoccupati: che fai tu Luna in ciel?».