Già era stato classificato come quasi-satellite, il più stabile fra i cinque quasi-satelliti a oggi noti: ne avevamo parlato di recente anche qui su Media Inaf. Ma la particolare orbita di 2016 HO3 – apparentemente circumterrestre, in realtà attorno al Sole, come ogni asteroide che si rispetti – unita alle dimensioni ridotte (inferiori ai 100 metri) e alla distanza relativamente grande dalla Terra (fra le 38 e le 100 volte quella che ci separa dalla Luna) ne hanno reso fino a oggi assai difficile l’osservazione. Lasciando così aperta la possibilità che si trattasse di space junk: dei resti di un razzo, per esempio.
Gli ultimi dubbi sulla sua natura sono stati infine del tutto dissipati grazie alle osservazioni – presentate ieri da Vishnu Reddy dell’Università dell’Arizona nel corso del 49esimo meeting della Division for Planetary Sciences in corso a Provo, nello Utah – condotte la scorsa primavera dall’Arizona con il Large Binocular Telescope (Lbt), il Grande telescopio binoculare – due specchi primari da otto metri e mezzo ciascuno – gestito per un quarto anche dall’Inaf.
«Anche quando HO3 è vicino alla Terra, le sue dimensioni ridotte, forse addirittura inferiori ai 30 metri, lo rendono un obiettivo arduo da studiare», spiega Reddy. «Le nostre osservazioni mostrano che HO3 compie una rotazione su sé stesso ogni 28 minuti ed è composto da materiali simili a quelli degli asteroidi».
«Per determinarne con precisione il periodo di rotazione e la composizione della superficie, abbiamo osservato 2016 HO3 il 14 e il 18 aprile scorsi con il Large Binocular Telescope e con il Discovery Channel Telescope. Il periodo di rotazione e lo spettro di luce che abbiamo ottenuto», conclude Reddy, «non sono inusuali fra i Near Earth Objects (Neo) più piccoli, e questo ci induce a pensare che 2016 HO3 sia un oggetto naturale con un’origine simile a quella, appunto, di altri piccoli Neo».
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