C’era una volta la sonda Rosetta dell’Agenzia spaziale europea… Ora Rosetta non c’è più ma i dati raccolti dalla cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko ancora per molti anni permetteranno di scrivere nuovi capitoli di una storia meravigliosa: la storia del Sistema solare. Come promettono di fare i due nuovi articoli pubblicati su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, a cui hanno partecipato numerose ricercatrici e ricercatori italiani e dell’Inaf.
Il primo studio, guidato da Jürgen Blum della Technische Universität Braunschweig, in Germania, ha trovato quello che può essere definito come l’anello finora mancante nella concatenazione di eventi che hanno portato alla formazione dei pianeti. Gli scienziati non sapevano infatti come collegare la formazione di ciottoli (dust pebbles), originati nella nebulosa protoplanetaria solare dall’adesione di particelle di polvere e ghiaccio che collidono fra loro, con l’accrescimento gravitazionale dei planetesimi (corpi come gli asteroidi e le comete) in pianeti.
Insomma: sappiamo come si formano i “mattonicini”, e sappiamo anche come “grandi pietre” possano unirsi grazie all’attrazione gravitazionale fino a formare pianeti. Ma come si passa dai ciottoli alle “grandi pietre”? Decine di esperimenti, effettuati proprio da Blum, hanno dimostrato che le collisioni fra polveri nel disco protoplanetario sono distruttive per dimensioni oltre il centimetro, cioè oltre la dimensione dei ciottoli. Inoltre, come ha osservato il radiotelescopio Alma in dischi protoplanetari extra-solari, i pianeti nascono molto in fretta: entro il primo milione di anni dalla formazione del disco protoplanetario stesso.
La risposta viene dalla struttura di 67P, desunta dalle osservazioni di Rosetta: la cometa è un corpo granulare, un aggregato di ciottoli “primordiali” di dimensioni millimetriche, contenenti polvere e ghiaccio; solo gli strati più superficiali, che sono esposti alla luce solare diretta, non contengono ghiaccio.
«Moltissimi dati di Rosetta vengono naturalmente spiegati assumendo che 67P sia un accumulo di ciottoli tenuto assieme dalla debolissima gravità reciproca, come previsto dai modelli in grado di spiegare le osservazioni di Alma e la nascita dei pianeti in poche centinaia di migliaia di anni», sintetizza uno degli autori, Marco Fulle dell’Inaf di Trieste. “Quindi 67P è un corpo perfettamente omogeneo, e perfettamente consistente con i modelli in grado di spiegare la nascita di pianeti in tutti i dischi protoplanetari. Questo risultato, a suo modo, rappresenta una piccola grande unificazione».
Grazie alla massa relativamente piccola della cometa 67P, i ciottoli sono sopravvissuti intatti fino a oggi, permettendo agli scienziati, per la prima volta, di confermare l’ipotesi che la cometa sia nata grazie all’accumulo di ciottoli, che hanno dato origine a un corpo coerente grazie a un delicato flusso d’attrazione. Un effetto collettivo delle particelle di polvere, leggero ma irresistibile, che gli scienziati definiscono “streaming instability”.
«Per far collassare un corpo come questo per gravità», spiega Fulle, «basta che tutti i ciottoli si concentrino entro la sua sfera di Hill, che per 67P ha un raggio di circa 200 km. Gli ultimi codici di streaming instability confermano che è possibile: una volta che dieci miliardi di tonnellate (il peso della cometa) di ciottoli si trovano entro un volume di 400 km di diametro, non è più possibile evitare il collasso gravitazionale. Ma il collasso è così “gentile”, e le pressioni interne sono così piccole, da non alterare i ciottoli».
Il nuovo studio dimostra anche che un siffatto nucleo di ciottoli tenuti assieme dalla sola gravità ha un comportamento termico che può spiegare molte delle proprietà osservate per la cometa 67P, come per esempio la sua elevata porosità e la quantità di gas che fuoriesce da dentro mentre la cometa si avvicina al Sole.
Altre evidenze, tuttavia, vanno un po’ in contrasto con questo modello. Come il getto di gas e polveri del 3 luglio 2016, una piccola “eruzione” che Rosetta è stata in grado di misurare con ben cinque dei suoi strumenti e che ha permesso agli scienziati, per la prima volta, di combinare osservazioni della polvere rilasciata assieme ai relativi cambiamenti della superficie.
Il risultato di questo ulteriore studio, guidato da Jessica Agarwal del Max-Planck-Instituts für Sonnensystemforschung, indica che gli impressionanti getti di polvere che le comete emettono nello spazio durante il loro viaggio intorno al Sole non sono spinti esclusivamente dalla sublimazione di acqua congelata, ma devono esistere altre fonti di energia interne alla cometa da cui attingono.
Gli scenari possibili ipotizzati dalle ricercatrici e dai ricercatori nel nuovo studio comprendono il rilascio di gas pressurizzato immagazzinato sotto la superficie, oppure la conversione del ghiaccio amorfo in cristallino, energeticamente più favorevole, indotta dal riscaldamento solare.
«Queste ipotesi vanno un po’ contro il risultato di un nucleo perfettamente omogeneo e per lo più secco», ammette Fulle, coautore anche di questo studio. «La porosità del nucleo sembra escludere che sia possibile accumulare gas sotto pressione in sacche interne, indipendentemente dal modello a ciottoli».
L’aspetto unico dell’evento del 3 luglio 2016 è rappresentato dalle immagini ad alta risoluzione della superficie, in cui i ricercatori hanno individuato una zona circolare di circa dieci metri di diametro all’interno di una depressione come punto di partenza del getto. Come hanno confermato le analisi, quest’area contiene acqua congelata sulla superficie.
In generale, gli scienziati suppongono che i gas congelati sulla superficie cometaria, come il ghiaccio d’acqua, siano responsabili dei getti di polvere. Sotto l’influsso del calore solare, queste sostanze sublimano, passando direttamente allo stato gassoso, e il flusso di gas trascina con sé le particelle di polvere nello spazio.
Tuttavia, il nuovo studio dimostra che, con una produzione di polvere di circa 18 kg al secondo, il getto del 3 luglio 2016 è troppo “polveroso” rispetto a quanto predicono i modelli convenzionali, richiedendo quindi la presenza di ulteriori processo energetici in gioco, come quelli ipotizzati sopra.
«Le due ipotesi suggerite in questo studio non sono le uniche possibili, qui davvero siamo appena agli inizi», commenta Fulle. «Mancano ancora esperimenti di laboratorio che studino cosa succede a basse temperature nel nucleo interno e in una struttura a ciottoli sottoposta a perturbazioni. Certamente, si rende evidente che queste due ipotesi “classiche”, valide in vecchi modelli cometari “a cipolla”, difficilmente si conciliano con tutti gli altri dati di Rosetta».
«C’è una particolare attenzione in questo momento all’interno della comunità scientifica di Rosetta a cercare di combinare i dati ottenuti da 67P con modelli, simulazioni e lavoro di laboratorio qui sulla Terra, per risolvere la questione su cosa produca tale attività sulle comete», conferma in conclusione Matt Taylor, responsabile scientifico di Rosetta all’Agenzia spaziale europea.
Per saperne di più:
- Leggi l’anteprima dell’articolo pubblicato su Mnras “Evidence for the formation of comet 67P/Churyumov-Gerasimenko through gravitational collapse of a bound clump of pebbles“, di Jürgen Blum, Bastian Gundlach, Maya Krause, Marco Fulle, Anders Johansen, Jessica Agarwal, Ingo von Borstel, Xian Shi, Xuanyu Hu, Mark S. Bentley,Fabrizio Capaccioni, Luigi Colangeli, Vincenzo Della Corte, Nicolas Fougere, Simon F. Green, Stavro Ivanovski, Thurid Mannel, Sihane Merouane, Alessandra Migliorini, Alessandra Rotundi, Roland Schmied, Colin Snodgrass
- Leggi l’articolo pubblicato su Mnras “Evidence of sub-surface energy storage in comet 67P from the outburst of 3 July 2016“, di J. Agarwal, V. Della Corte, P. D. Feldman, B. Geiger, S. Merouane, I. Bertini, D. Bodewits, S. Fornasier, E. Grün, P. Hasselmann, M. Hilchenbach, S. Höfner, S. Ivanovski, L. Kolokolova, M. Pajola, A. Rotundi, H. Sierks, A. J. Steffl, N. Thomas, M. F. A’Hearn, C. Barbieri, M. A. Barucci, J.-L. Bertaux, S. Boudreault, G. Cremonese, V. Da Deppo, B. Davidsson, S. Debei, M. De Cecco, J. F. Deller, L. M. Feaga, H. Fischer, M. Fulle, A. Gicquel, O. Groussin, C. Güttler, P. J. Gutiérrez, M. Hofmann, K. Hornung, S. F. Hviid, W.-H. Ip, L. Jorda, H. U. Keller, J. Kissel, J. Knollenberg, A. Koch, D. Koschny, J.-R. Kramm, E. Kührt, M. Küppers, P. L. Lamy, Y. Langevin, L. M. Lara, M. Lazzarin, Z.-Y. Lin, J. J. Lopez Moreno, S. C. Lowry, F. Marzari, S. Mottola, G. Naletto, N. Oklay, J. Wm. Parker, R. Rodrigo, J. Rynö, X. Shi, O. Stenzel, C. Tubiana, J.-B. Vincent, H. A. Weaver, B. Zaprudin