Come i prigionieri nella caverna di Platone, anche gli astrofisici che si occupano di pianeti extrasolari vedono – dei mondi che studiano – nient’altro che ombre. O almeno è così per chi si avvale della tecnica dei transiti, quella del telescopio spaziale Kepler: periodo orbitale e dimensioni del pianeta, e tutto ciò che ne deriva, vengono dedotti da null’altro che dalla lieve “ombra” – una sorta di micro-eclissi – prodotta dal pianeta stesso allorché si trova a transitare fra la stella che lo ospita e i nostri telescopi.
È già stupefacente che da quelle ombre, da quegli impercettibili “cali di luce” (una sorta di “U” nella linea altrimenti piatta dell’intensità della luce della stella), gli astronomi siano riusciti non solo a scoprire in pochi anni migliaia di pianeti extrasolari, ma anche interi sistemi planetari e, forse, delle lune. Ma ora hanno fatto un passo in più: il 18 marzo scorso, osservando alcune di quelle “U” debolissime – talmente deboli che gli algoritmi automatici le avevano scartate – l’occhio allenato d’un astrofilo e citizen scientist di Bellevue (Washington), Thomas Jacobs, ha notato, nella luce emessa da Kic 3542116, una debole stella a 800 anni luce da noi, non solo le tracce d’un transito, ma anche che si trattava di tracce strane, lievemente asimmetriche: i due rami della “U” non scendevano e salivano con la stessa pendenza. Come se l’oggetto in transito non fosse perfettamente sferico.
Come se avesse una coda.
Saul Rappaport, astrofisico del Massachusetts Institute of Technology, messo a conoscenza dell’anomalia dallo stesso Jacobs, si è messo a studiare in modo sistematico quelle “tracce di ombra”. L’asimmetria nelle curve luminose gli ricordava quella prodotta da pianeti disintegrati, con lunghe scie di detriti che continuano a coprire la luce della stella mentre il pianeta se ne allontana. Ma a differenza dei pianeti che stanno perdendo pezzi (e che continuano comunque a orbitare attorno alla stella) questi segnali erano unici, non si ripetevano, non mostravano periodicità.
«Riteniamo che i soli oggetti in grado di fare la stessa cosa, senza ripetizioni, siano quelli che alla fine vengono distrutti», spiega Rappaport. Riassumendo: oggetti molto più piccoli d’un pianeta (il calo di luce impercettibile), che transitano vicino a una stella perdendo “pezzi” (l’asimmetria) fino al punto da venire vaporizzati e sparire (il segnale che non si ripete). Andando per eliminazione, non rimane che un indiziato: si tratta d’una cometa. O meglio: una esocometa. Anzi: sei esocomete. Già, perché passando sistematicamente in rassegna i dati ne sono poi saltate fuori altre cinque.
Lo studio che racconta questa prima scoperta di esocomete esce questa settimana su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. E per pura coincidenza, proprio in questi giorni, è stata avvistata, dalle parti della Terra, quella che è forse un’esocometa (o un esoasteroide, non si sa) in visita: si chiama C/2017 U1 (o A/2017 U1) e sarebbe la prima “cometa aliena” mai intercettata nel Sistema solare.
Guarda su MediaInaf Tv il servizio video su C/2017 U1: