Un gruppo di fisici della statunitense Brown University ha messo a punto una nuova strategia per rilevare direttamente la materia oscura, ovvero quella sostanza sconosciuta che interagisce poco o niente con la materia normale ma che evidenze osservative indirette dicono costituire la maggior parte della massa nell’universo.
Lo studio che descrive la nuova strategia, pubblicato su Physical Review Letters, prevede di rilevare le interazioni tra particelle di materia oscura e una vasca di elio superfluido. Visto il basso peso atomico dell’elio, un rivelatore di questo tipo sarebbe sensibile a particelle di materia oscura con massa molto bassa, al contrario della maggioranza degli esperimenti realizzati finora. Come, per esempio, Xenon1T ai Laboratori nazionali del Gran Sasso dell’Infn, il più grande rivelatore al mondo di particelle “pesanti” di materia oscura, che utilizza 3500 kg di xeno liquido purissimo.
«La maggior parte della ricerca su larga scala di materia oscura ha finora cercato di individuare particelle con una massa compresa tra 10 e 10mila volte quella del protone», spiega Derek Stein, uno degli autori. «Al di sotto delle 10 masse protoniche questi esperimenti iniziano a perdere la loro sensibilità. Quello che noi proponiamo è di estendere verso il basso la sensibilità per la massa di tre o quattro ordini di grandezza, ed esplorare la possibilità che le particelle di materia oscura siano molto più leggere di come le abbiamo cercate finora».
Ci sono naturalmente ottime ragioni, spiega ancora il ricercatore, perché la ricerca si concentri su particelle di materia oscura “massicce”: l’esistenza di una particella in quella fascia di massa permetterebbe di unificare molti presupposti teorici. Ad esempio, la teoria della supersimmetria — ovvero l’idea che tutte le particelle ordinarie che conosciamo abbiano un “partner nascosto” di uguale massa — predice particelle di materia oscura con massa dell’ordine di centinaia di volte quella del protone.
Tuttavia, una siffatta particella non si è finora mai palesata negli esperimenti e i fisici stanno pensando di estendere il raggio di ricerca anche a particelle molto più piccole. La strategia di rilevamento che i ricercatori della Brown University hanno escogitato prevede una vasca di elio superfluido, un materiale superconduttore dalle caratteristiche peculiari. L’idea è che le particelle di materia oscura che passano attraverso la vasca dovrebbero, in rare occasioni, scontrarsi con il nucleo di un atomo di elio.
La collisione darebbe origine a fononi e rotoni — piccole eccitazioni, per qualche verso simili alle onde sonore — che si propagherebbero senza perdita di energia cinetica all’interno del superfluido. Quando tali eccitazioni raggiungono la superficie del liquido, provocherebbero il rilascio di atomi di elio in uno spazio vuoto sopra la superficie. La rilevazione degli atomi così rilasciati fornirebbe, dunque, il segnale che un’interazione tra materia oscura e materia ordinaria ha avuto luogo nella vasca.
Siccome la collisione di una particella di materia oscura di massa ridotta potrebbe causare il rilascio anche solo di un singolo atomo di elio dalla superficie della vasca, occorre trovare un “trucchetto” per amplificare il debolissimo segnale, da circa un milli-elettronvolt di energia, che l’atomo di elio porta con sé.
L’espediente trovato dai ricercatori è di generare un campo elettrico nello spazio vuoto sopra il liquido mediante una matrice di piccoli perni metallici caricati positivamente. Nel momento in cui un atomo rilasciato dalla superficie dell’elio si avvicina a un perno, la carica positiva della punta sequestrerà un elettrone, creando uno ione positivo dell’elio che, immediatamente respinto dalla carica di eguale segno delle punte, volerà via con energia sufficiente da essere facilmente rilevabile da un calorimetro standard.
«Se mettiamo 10mila volt su quei piccoli perni, allora quel minuscolo ione schizzerà via con10mila volt addosso», commenta il coautore Humphrey Maris. «Ed è proprio questo aspetto del campo di ionizzazione che ci permette un nuovo modo di rilevare il singolo atomo di elio che potrebbe essere associato con un’interazione di materia oscura».
«Affinché un tale rivelatore diventi realtà, saranno fondamentali esperimenti preliminari per comprendere meglio ciò che accade nell’elio superfluido e la dinamica precisa del regime di ionizzazione», commenta in conclusione Stein. «Da lì potremo iniziare a progettare un vero e proprio esperimento a caccia di materia oscura».
Per saperne di più:
- Leggi l’anteprima dell’articolo pubblicato su Physical Review Letters “Dark Matter Detection Using Helium Evaporation and Field Ionization“, di Humphrey J. Maris, George M. Seidel, Derek Stein