VIA LIBERA ALLA COSTRUZIONE DEI DUE STRUMENTI

Lbt: due “squali” alla ricerca d’esopianeti

Il loro nome è Shark, ovvero 'squalo' in lingua inglese. Grazie a essi il Large Binocular Telescope si trasformerà in una formidabile macchina per individuare, osservare e studiare pianeti al di fuori del Sistema solare. L’Inaf è alla guida del progetto e del consorzio internazionale che realizzerà questi sofisticati strumenti, così come della loro gestione scientifica

     04/01/2018

Il telescopio Lbt in Arizona, di cui l’Inaf è uno dei partner, utilizzato per studiare il quasar Sdss J0100+2802. Crediti: Inaf/R. Cerisola

Si chiamano Shark e sono gli strumenti di nuova generazione che equipaggeranno il Large Binocular Telescope (Lbt), il grande telescopio binoculare che si trova sulla cima del monte Graham in Arizona – e di cui l’Inaf è partner insieme a istituti tedeschi e statunitensi, rendendolo un formidabile cacciatore di pianeti extrasolari. L’Istituto nazionale di astrofisica è alla guida del progetto e del consorzio internazionale che realizzerà gli strumenti, così come della loro gestione scientifica. Il via libera alla costruzione è arrivato dal board di Lbt, e i due strumenti saranno operativi entro la fine del 2019. Shark (‘squalo’ in lingua inglese e acronimo di System for coronagraphy with High order Adaptive optics from R to K band) è una coppia di strumenti – uno operativo nella banda visibile (Shark-Vis), l’altro in quella del vicino infrarosso (Shark-Nir) – che potranno funzionare in parallelo, sfruttando i due specchi principali da 8,4 metri di diametro che equipaggiano Lbt, rendendolo il primo telescopio al mondo in grado di osservare contemporaneamente esopianeti in un intervallo così ampio dello spettro elettromagnetico.

«Con Shark potremo osservare sistemi planetari con una risoluzione angolare e un contrasto elevatissimi, tanto che saremo in grado di spingerci più vicini alle loro stelle madri di quanto sia stato possibile fare finora con la tecnica dell’imaging diretto», dice Valentina D’Orazi, ricercatrice dell’Istituto nazionale di astrofisica a Padova e responsabile scientifica di Shark-Nir. «Questo grazie all’impiego della coronografia, che blocca la luce della stella centrale, aumentando il contrasto delle immagini nella regione attorno a essa, dove si nascondono i pianeti che vogliamo studiare, che risulterebbero altrimenti impossibili da individuare».

Un rendering dello strumento Shark-Nir e dei suoi componenti

Gli strumenti Shark potranno sfruttare appieno il sistema di ottica adattiva che già equipaggia Lbt, anch’esso ideato e sviluppato dall’Inaf. Tale sistema corregge le distorsioni sulle immagini astronomiche prodotte dalle turbolenze dell’atmosfera per restituire riprese che eguagliano e addirittura superano in nitidezza e qualità dei dettagli quelle ottenute dal telescopio spaziale Hubble.

«Con questa formidabile combinazione, potremo finalmente dare un ‘volto’ a molti esopianeti che orbitano le stelle nel nostro vicinato galattico e caratterizzare meglio le loro proprietà, anche  grazie alle immagini in luce visibile prese per la prima volta nell’emisfero nord», aggiunge Fernando Pedichini, ricercatore dell’Inaf di Roma e principal investigator di Shark-Vis.

In particolare, grazie a Shark sarà possibile osservare direttamente i pianeti giganti gassosi nelle regioni esterne dei sistemi esoplanetari, fornendo informazioni complementari sulla architettura di tali sistemi rispetto a quelle ottenibili attraverso le tecniche di velocità radiale o i transiti. «Tali osservazioni sono fondamentali per comprendere i meccanismi di formazione dei sistemi planetari», sottolinea Simone Antoniucci dell’Inaf di Roma, responsabile scientifico di Shark-Vis. «Inoltre, una delle caratteristiche uniche di Shark sarà quella di poter osservare direttamente il processo di formazione dei pianeti attorno a stelle molto giovani».

Un rendering dello strumento Shark-Vis e dei suoi componenti

«Shark-Nir, sfruttando la fantastica sensibilità dell’ottica adattiva di Lbt, e usato in contemporanea a Shark-Vis e a LmirCam di Lbti, permetterà di effettuare ricerca scientifica anche in campi diversi da quelli della ricerca di pianeti», aggiunge Jacopo Farinato, astronomo dell’Inaf di Padova e principal investigator di Shark-Nir. Per fare alcuni esempi, sarà possibile studiare dischi e getti nelle stelle giovani, gli inviluppi attorno alle stelle evolute, asteroidi e corpi minori del sistema solare e si potranno anche investigare in dettaglio sorgenti extragalattiche al di fuori della Via Lattea, come i più brillanti nuclei galattici attivi.

«I due strumenti Shark saranno usati e gestiti dai team per tutta la loro fase operativa, ma saranno comunque aperti all’intera comunità scientifica di Lbt», dice Christian Veillet, direttore del Large Binocular Telescope. «Entrambi i team hanno organizzato un’imponente collaborazione scientifica che abbraccia l’ampia gamma di potenziali programmi scientifici e le molteplici partnership che sono i punti di forza di Lbt».

Il consorzio di Shark è guidato dall’Inaf e vede come partner per il canale infrarosso lo Steward Observatory di Tucson in Arizona, il Max Planck Institute di Heidelberg in Germania e l’Istituto di planetologia di Grenoble in Francia. Gli istituti italiani coinvolti nella costruzione di Shark, oltre agli osservatori di Padova e Roma responsabili dei due canali, sono quelli di Arcetri, Milano, Trieste ed il Dipartimento di fisica e astronomia dell’Università di Padova.

Il Large Binocular Telescope è frutto di una collaborazione tra l’Istituto nazionale di astrofisica, University of Arizona, Germania (Lbt Beteiligungsgesellschaft), The Ohio State University e la Research Corporation (in rappresentanza della University of Minnesota, University of Virginia, e University of Notre Dame). L’Italia, tramite l’Inaf, contribuisce al 25 per cento del costo di realizzazione del progetto e delle spese di gestione. È proprietaria di un quarto del telescopio e di altrettanto tempo di osservazione.

Per saperne di più:

  • Leggi la notizia sul blog dell’Osservatorio Lbt (in inglese)