Analizzando il più grande “reparto maternità” stellare nelle vicinanze della nostra galassia, la regione 30 Doradus – più conosciuta forse come Nebulosa Tarantola – nella Grande Nube di Magellano, un gruppo di ricerca principalmente europeo ha riscontrato che le stelle di grande massa sono più comuni di quanto predetto dai modelli teorici.
I risultati della nuova ricerca, appena pubblicata su Science, hanno vaste implicazioni per l’astrofisica, poiché le stelle più massicce hanno una grande influenza sul loro circondario, irrorandolo di intensa radiazione ultravioletta, forti venti stellari, nonché potenti esplosioni di supernova che producono e disseminano gli elementi chimici più pesanti.
Paradossalmente, studiare le stelle grosse è più difficile rispetto a quelle simili al Sole, perché più una stella è pesante e meno tempo dura il suo ciclo vitale prima di esplodere come supernova. Inoltre, le zone di formazione stellare di altre galassie sono generalmente troppo distanti per poter analizzare le caratteristiche di ogni singola stella.
Gli autori del nuovo studio si sono quindi focalizzati su una galassia vicina, la Grande Nube di Magellano appunto, all’interno della quale 30 Doradus rappresenta un perfetto campione di regioni a forte formazione stellare presenti in galassie starburst molto più lontane. Tutta la Grande Nube di Magellano presenta infatti una metallicità, ovvero una percentuale di elementi chimici più pesanti di idrogeno ed elio, nettamente più bassa di quella della Via Lattea.
«Questa bassa metallicità, assieme all’alto grado di formazione stellare dell’ammasso 30 Doradus, è tipica di galassie lontane che hanno un tasso di formazione stellare molto alto», spiega a Media Inaf Luca Fossati all’Istituto di ricerche spaziali dell’Accademia delle Scienze, a Graz in Austria, fra gli autori della ricerca. «Questo fa sì che, osservando zone come 30 Doradus, abbastanza vicine da poter essere studiate stella per stella, capiamo il comportamento di galassie lontane. Ma possiamo anche comprendere come si è evoluto l’universo nel passato, perché osservare “lontano” significa osservare indietro nel tempo».
Grazie a un ampio sondaggio delle stelle presenti in 30 Doradus, effettuato con lo spettrografo Flames sul telescopio Vlt dell’Eso in Cile, i ricercatori hanno ricavato i parametri fisici di 452 stelle massicce, di cui 247 con massa superiore a 15 masse solari, determinandone con precisione la temperatura effettiva, la luminosità, la gravità di superficie, la rotazione, e così via.
Suddividendo le stelle a seconda del loro peso, gli autori del nuovo studio sono stati in grado di determinare chiaramente la frazione di stelle massicce prodotte nei più recenti (astronomicamente parlando) episodi di formazione stellare avvenuti in 30 Doradus. I ricercatori hanno trovato molte più stelle di massa elevata (che, in questo caso, significa più di 30 masse solari) rispetto a quanto previsto dai modelli consolidati di formazione stellare, e la discrepanza si allarga ulteriormente per le masse maggiori.
La percentuale relativa di stelle con una certa massa presenti in una galassia o in un ammasso stellare non è solo un dato interessante, ma un parametro di fondamentale importanza per gli astrofisici. Un sistema stellare è come una “grande famiglia” dove tutti i membri interagiscono tra loro, in maniere diverse a seconda della loro massa. E in una famiglia stellare con più “pesi massimi”, come quella ritratta in 30 Doradus, ci si può aspettare l’arrivo di un numero maggiore di componenti “esotici”.
«La presenza di molte più stelle massicce comporta che nel sistema stellare ci siano più radiazione ionizzante e molta più energia cinetica generata dai forti venti prodotti da stelle di questo tipo», prosegue Fossati. «In aggiunta, più stelle massicce significa anche un più alto numero di supernove, con un conseguente aumento dell’energia cinetica disponibile – per esempio – per la formazione di altre stelle, e quindi anche un più alto numero di stelle di neutroni e buchi neri».
Il nuovo studio ha calcolato una percentuale di supernove del 70 per cento superiore al previsto, e una probabilità di formazione di buchi neri accresciuta del 180 per cento.
Con un effetto a catena, questo porta anche a un più alto numero di fusioni fra stelle di neutroni e buchi neri, eventi che sono stati recentemente osservati mediante le onde gravitazionali prodotte dalla fusione stessa, tra cui la prima fusione tra stelle di neutroni.
L’effetto complessivo portato dalla presenza di un più grande numero di stelle massicce in un sistema stellare è la conseguente maggiore generazione di elementi chimici “pesanti”, prodotti nei processi di nucleosintesi di stelle massicce, supernove e coalescenze di stelle di neutroni e buchi neri.
Un’ulteriore informazione ricavata nella ricerca è la tempistica dell’evento di formazione stellare avvenuto in 30 Doradus, il cui picco è durato per un periodo relativamente molto breve: neanche una decina di milioni di anni.
«Questo significa che le stelle massicce in esame sembrano essersi formate tutte insieme in un breve periodo di tempo», commenta in conclusione Fossati. «Se questo fatto non è casuale, ma è invece una caratteristica della formazione stellare a bassa metallicità, significa che possiamo aspettarci lo stesso anche in galassie lontane, e quindi anche nel passato del nostro universo. La formazione stellare nel passato potrebbe essersi quindi accesa e spenta ad intervalli più o meno regolari ed essere anche molto veloce, invece di essere continua ed uniforme, come avviene nella Via Lattea».
Per saperne di più:
- Leggi su Science “An excess of massive stars in the local 30 Doradus starburst”, di F. R. N. Schneider, H. Sana, C. J. Evans, J. M. Bestenlehner, N. Castro, L. Fossati, G. Gräfener, N. Langer, O. H. Ramírez-Agudelo, C. Sabín-Sanjulián, S. Simón-Díaz, F. Tramper, P. A. Crowther, A. de Koter, S. E. de Mink, P. L. Dufton, M. Garcia, M. Gieles, V. Hénault-Brunet, A. Herrero, R. G. Izzard, V. Kalari, D. J. Lennon, J. Maíz Apellániz, N. Markova, F. Najarro, Ph. Podsiadlowski, J. Puls, W. D. Taylor, J. Th. van Loon, J. S. Vink, C. Norman