Omar, il pacioso felino nell’immagine a fianco, è in lizza per essere riconosciuto come gatto più lungo e grosso del mondo: un metro e venti di lunghezza per 14 chili di peso, tre o quattro volte tanto un medio micio d’appartamento!
E se per un essere vivente ci sono difficoltà di categorizzazione, così è anche per i pianeti: basta ricordare Plutone, declassificato a pianeta nano nel 2006, e che ora cerca riscatto.
Ma se sulle dimensioni minime c’è abbastanza accordo, quanto può essere grande un pianeta per continuare a essere considerato tale? Non è solo una questione semantica, ma è strettamente legata alla dettagliata conoscenza del meccanismo con cui si formano i pianeti, in particolare quelli giganti come Giove.
In un nuovo studio, appena pubblicato su Astrophysical Journal, l’astrofisico Kevin Schlaufman della Johns Hopkins University ha stabilito che il limite superiore alla massa di un pianeta è compreso tra le quattro e le dieci masse gioviane.
Le conclusioni della nuova ricerca sono basate sulle osservazioni di 146 sistemi planetari al di fuori del Sistema solare. L’obbiettivo dello studio è di riuscire a distinguere tra due tipi di corpi celesti le cui caratteristiche si possono in certi casi sovrapporre: pianeti giganti e cosiddette nane brune.
Le nane brune sono più massicce dei pianeti, ma meno delle stelle più piccole, e si possono considerare delle stelle mancate. Al contrario dei pianeti giganti, che raggiungono le loro dimensioni per accrescimento progressivo di un involucro gassoso attorno a un nucleo solido, si pensa che le nane brune si formino come fanno le stelle, per collasso gravitazionale di una nube interstellare di gas e polveri.
Tuttavia, la massa da sola non è un elemento sufficiente per distinguere tra un pianeta gigante e una nana bruna, ma occorrono altre proprietà. Nel suo studio, Schlaufman introduce come proprietà discriminante la composizione chimica della stella che ospita il Sistema planetario.
Secondo il ricercatore, è possibile tracciare l’identikit di un sospetto pianeta non solo dalla sua fisionomia ma anche – per così dire – dalle compagnie che frequenta. I pianeti giganti come Giove, per esempio, si trovano per lo più attorno a stelle che contengono una quantità di ferro maggiore rispetto al nostro Sole, mentre le nane brune sono meno discriminanti.
Risulta quindi ragionevole trovare pianeti giganti nei pressi di stelle che contengono elementi pesanti, da cui si possono formare le rocce che costituiscono i semi per lo sviluppo del pianeta. Non è così, invece, per le nane brune, che hanno un parto di tipo diverso.
Nelle statistiche dei sistemi stellari studiati, Schlaufman ha cercato di individuare quale fosse la massa oltre la quale, gli oggetti “smettono di preoccuparsi” per la composizione chimica della stella attorno cui orbitano. Il ricercatore ha trovato che gli oggetti più massicci di circa 10 volte la massa di Giove snobbano gli ambienti stellari con molti elementi pesanti, adatti a formare rocce.
Per questo motivo, stanti le conoscenze attuali, l’autore del nuovo studio propone di considerare gli oggetti superiori a 10 masse gioviane come nane brune e non come pianeti.
Per saperne di più:
- Leggi l’anteprima dell’articolo pubblicato su Astrophysical Journal, “Evidence of an Upper Bound on the Masses of Planets and its Implications for Giant Planet Formation”, di Kevin C. Schlaufman