I pianeti del Sistema solare, inclusa la nostra Terra, sono immersi nel vento solare, un flusso supersonico di particelle cariche altamente energetiche sprigionate dal Sole. Il nostro pianeta e pochi altri si difendono da questo flusso continuo di particelle grazie al proprio campo magnetico. È l’interazione tra il campo magnetico terrestre e il vento solare che crea l’intricata struttura della magnetosfera, una bolla protettiva che protegge il nostro pianeta dalla stragrande maggioranza delle particelle del vento solare.
Finora gli scienziati hanno raggiunto una comprensione abbastanza buona dei processi fisici che avvengono nel plasma del vento solare e nella magnetosfera. Tuttavia, mancano ancora da chiarire molti aspetti importanti per quanto riguarda l’interazione tra questi due ambienti e la regione estremamente turbolenta che li separa, conosciuta come magnetoguaina, dove si sospetta che avvengano la maggior parte dei fenomeni più interessanti.
«Per capire come l’energia venga trasferita dal vento solare alla magnetosfera, dobbiamo capire cosa succede nella magnetoguaina, la “zona grigia” che li separa», dice Lina Zafer Hadid, dell’Istituto svedese di fisica spaziale di Uppsala, in Svezia. Lina è la prima autrice di un nuovo studio che quantifica, per la prima volta, il ruolo della turbolenza nella magnetoguaina, i cui risultati sono stati pubblicati il 29 gennaio scorso su Physical Review Letters.
«Nel vento solare sappiamo che la turbolenza contribuisce alla dissipazione di energia dalle grandi scale, dell’ordine di centinaia di migliaia di chilometri, alle scale più piccole del chilometro, dove le particelle di plasma vengono riscaldate e accelerate a energie più alte», spiega Fouad Sahraoui, coautore del lavoro, dal laboratorio di fisica del plasma in Francia. «Sospettavamo che un meccanismo simile fosse in gioco anche nella magnetoguaina, ma l’abbiamo potuto verificare solo adesso», aggiunge Fouad. Il plasma della magnetoguaina è più turbolento, pieno di fluttuazioni di densità molto estese e può essere compresso in misura molto maggiore rispetto al vento solare: è un plasma molto complesso e gli scienziati sono riusciti solo recentemente a sviluppare un quadro teorico in grado di comprendere i processi fisici che avvengono in tale ambiente. Lina, Fouad e i loro collaboratori hanno analizzato una grande mole di dati raccolti tra il 2007 e il 2011 dai quattro veicoli spaziali della missione Cluster dell’Esa e da due dei cinque veicoli spaziali Themis della Nasa, che volano in formazione nell’ambiente magnetico della Terra.
Quando i ricercatori hanno applicato le nuove teorie al loro campione di dati, hanno avuto una grande sorpresa: «Abbiamo scoperto che la densità e le fluttuazioni magnetiche causate dalla turbolenza all’interno della magnetoguaina amplificano di almeno un centinaio di volte la velocità con cui l’energia si trasferisce dalle grandi alle piccole scale, rispetto a quanto si osserva nel vento solare», spiega Lina. Il nuovo studio indica che circa diecimila miliardi di joule per metro cubo al secondo di energia vengono trasferiti in questa regione dell’ambiente magnetico terrestre. «Ci aspettavamo che la turbolenza avrebbe avuto un impatto sul trasferimento di energia nel plasma della magnetoguaina, ma non che sarebbe stato così significativo», aggiunge la ricercatrice.
Oltre a questa scoperta, gli scienziati sono stati in grado di ricavare una correlazione empirica che collega la velocità con cui l’energia viene dissipata nella magnetoguaina alla quarta potenza di un’altra quantità utilizzata per studiare il moto dei fluidi: il numero di Mach. Questo numero adimensionale, che prende il nome dal fisico austriaco Ernst Mach, quantifica la velocità delle fluttuazioni in un flusso rispetto alla velocità del suono in quel fluido, indicando se un flusso è subsonico o supersonico. Mentre il tasso di trasferimento di energia è difficile da determinare a meno che non si utilizzino sonde spaziali che effettuano misurazioni in situ, come il satellite Cluster che campiona il plasma attorno alla Terra, il numero di Mach può essere facilmente stimato usando osservazioni a distanza dei plasmi astrofisici in generale. «Se questa relazione empirica risultasse essere universale, si dimostrerà estremamente utile per comprendere il plasma cosmico nel quale non possiamo fare misure dirette con veicoli spaziali, come ad esempio il mezzo interstellare che pervade la nostra e le altre galassie», dice Fouad.
Vista la scoperta, gli scienziati non vedono l’ora di confrontare i loro risultati con le misurazioni del plasma che circonda gli altri pianeti del Sistema solare, utilizzando ad esempio i dati della missione Juno della Nasa, della prossima missione Juice dell’Esa, e della missione congiunta Esa-Jaxa BepiColombo, il cui lancio è previsto entro la fine dell’anno.
«È davvero entusiasmante constatare che uno studio basato su diversi anni di dati della missione Cluster», nota Philippe Escoubet, project scientist di Cluster, «abbia trovato la chiave per affrontare una questione importante e non ancora risolta della fisica del plasma».
Per saperne di più:
- Leggi su Physical Review Letters l’articolo “Compressible Magnetohydrodynamic Turbulence in the Earth’s Magnetosheath: Estimation of the Energy Cascade Rate Using in situ Spacecraft Data“, di L. Z. Hadid, F. Sahraoui, S. Galtier, and S. Y. Huang