Alle stelle piace freddo. Anzi, gelido. Parliamo di “incubatrici”: al contrario dei nostri cuccioli, che apprezzano un dolce tepore, le baby stelle iniziano ad assemblarsi nell’habitat estremo delle nubi molecolari, regioni dense e glaciali dove le temperature si aggirano attorno ai 10 gradi sopra lo zero assoluto: vale a dire, oltre -263 gradi sotto zero. Un ambiente talmente rigido che, teoricamente, tutte le molecole – tranne quelle d’idrogeno e d’elio – dovrebbero rimanere intrappolate nel ghiaccio che avvolge la superficie dei grani di polvere. Tuttavia, le osservazioni hanno dimostrato che non è così. Ma come fanno a “liberarsi”? Il processo, spiega un articolo uscito ieri su Nature Astronomy, si chiama desorbimento chimico (chemical desorption). Ed è stato per la prima volta replicato in laboratorio da un team di scienziati giapponesi e tedeschi guidato da Yasuhiro Oba e Naoki Watanabe dell’università di Hokkaido, in Giappone.
Ricostruire il processo attraverso il quale, a bassissime temperature, le molecole vengono rilasciate dalle polveri è cruciale per comprendere l’evoluzione delle sostanze chimiche nelle nubi fredde. Già era stato dimostrato il ruolo giocato da un altro tipo di desorption, il fotodesorbimento, innescato dalla radiazione ultravioletta e in grado di provocare la dissoluzione delle particelle dal ghiaccio in alcune regioni delle enormi nubi. Ma nelle zone più scure e più dense, quelle dove si formano le stelle, il fotodesorbimento sarebbe inefficiente.
All’origine del desorbimento chimico, invece, c’è – appunto – una reazione chimica. Per riprodurla, Oba e colleghi hanno approntato un esperimento con ghiaccio amorfo a 10 Kelvin e acido solfidrico (H2S). Dopo aver esposto l’acido solfidrico all’idrogeno, gli scienziati hanno osservato la reazione tramite spettroscopia infrarossa. Sono così riusciti a dimostrare che il desorbimento è causato dall’interazione fra l’idrogeno e l’acido solfidrico, dunque una reazione chimica. Non solo: riuscendo a quantificare il desorbimento al termine della reazione, hanno scoperto che si tratta di un processo assai più efficiente di quanto stimato in precedenza.
Il risultato rappresenta la prima misura infrarossa in situ del desorbimento chimico, e fornisce descrizioni dettagliate delle reazioni in gioco, fondamentali per comprendere la chimica dello zolfo interstellare. «La chimica interstellare è cruciale per capire non solo come si formano le stelle, ma anche l’acqua, il metanolo e forse anche molecole più complesse», dice Watanabe. Il prossimo passo sarà quello di sfruttare un analogo assetto sperimentale per l’analisi di altre molecole.
Per saperne di più:
- Leggi su Nature Astronomy l’articolo “An infrared measurement of chemical desorption from interstellar ice analogues”, di Y. Oba, T. Tomaru, T. Lamberts, A. Kouchi e N. Watanabe