L’effetto lente gravitazionale è uno strumento potente nelle mani degli astronomi che vanno a caccia di oggetti lontani, perché permette di spingersi oltre i limiti fisici dei telescopi terrestri e spaziali. Di recente, infatti, in un articolo firmato da due ricercatori dell’Università dell’Oklahoma e pubblicato su Astrophysical Journal Letters, è stata segnalata la probabile presenza dei primi pianeti extragalattici scoperti usando la tecnica del microlensing (una delle tante eredità di Albert Einstein). Si tratta, quindi, di oggetti fuori dalla Via Lattea: si troverebbero in una galassia a ben 3,8 miliardi di anni luce.
Tali oggetti possono essere scoperti e studiati solo (per ora) con il fenomeno di microlente gravitazionale, ipotizzato nella Teoria della relatività generale. Come funziona? Si sfrutta la distorsione spazio-temporale che subisce la luce prodotta dall’oggetto che vogliamo osservare quando incontra lungo la sua strada un’altra massa gravitazionale. Gli astronomi studiano l’aumento di luminosità apparente quando un oggetto (in questo caso una galassia) transita davanti a un altro oggetto molto più distante. È necessario che la galassia più distante (il target della ricerca) si trovi quasi perfettamente dietro alla “galassia lente”. L’effetto lente d’ingrandimento che si ottiene permette di osservare oggetti praticamente invisibili dalla Terra.
In questo caso, invece, l’oggetto principale dello studio è stato la lente gravitazionale stessa, ovvero la galassia Rx J1131–1231. I due autori dell’articolo, Xinyu Dai ed Eduardo Guerras, basandosi sull’emissione d’una particolare riga del ferro osservata nello spettro della luce deviata dall’effetto lensing, sono giunti a stimare che, in media, per ogni stella di sequenza principale, Rx J1131–1231 possa ospitare circa duemila pianeti “vagabondi”. Pianeti che avrebbero masse comprese tra quella della Luna a quella di Giove. L’osservazione è stata condotta con il telescopio spaziale Chandra della Nasa. Lo studio è particolarmente rilevante perché, fino a oggi, la tecnica di microlensing aveva portato sì alla scoperta di nuovi pianeti all’interno della Via Lattea, ma mai all’esterno.
«Questo è un tipico esempio di quanto potenti possano essere le tecniche di analisi del microlensing extragalattico», dice Guerras. «La galassia si trova a 3,8 miliardi di anni luce di distanza, e non c’è quindi alcuna possibilità di osservarne direttamente pianeti, neanche con il miglior telescopio che si possa immaginare in uno scenario fantascientifico. Tuttavia, siamo in grado di studiarli, svelare la loro presenza e persino farci un’idea sulle loro masse».
Per saperne di più:
- Leggi su The Astrophysical Journal Letters l’articolo “Probing Planets in Extragalactic Galaxies Using Quasar Microlensing”, di Xinyu Dai e Eduardo Guerras