DOVE IL GHIACCIO È SUPERIONICO

Quant’è strano un mojito su Urano

Riprodotta in laboratorio una bizzarra e spettacolare forma di ghiaccio d’acqua, simultaneamente liquida e solida, che si pensa possa essere presente nel mantello di alcuni pianeti gassosi. Tra gli autori della scoperta, la ricercatrice italiana Federica Coppari. Media Inaf l’ha intervistata

     09/02/2018

Rappresentazione grafica di simulazioni di dinamica molecolare che mostrano la rapida diffusione di ioni idrogeno (traiettorie in rosa) all’interno del reticolo solido di ossigeno nel ghiaccio superionico. Crediti: S. Hamel / M. Millot / J. Wickboldt / Llnl / Nif

Cosa accade a una bacinella piena d’acqua quando la infiliamo in un freezer? Ovvio, direte voi, l’acqua liquida si trasforma in ghiaccio. Ma cosa succederebbe se invece decidessimo di scaldare quest’acqua fino a qualche migliaio di gradi, schiacciandola sotto il peso di una pressione milioni di volte quella esercitata dalla nostra atmosfera? Beh, in tal caso potremmo assistere ad alcuni fenomeni piuttosto divertenti. L’acqua si trasformerebbe in una sorta di forma ibrida, simultaneamente liquida e solida: un reticolo di ioni di ossigeno disposti secondo una struttura cubica all’interno della quale scorre un fluido costituito da ioni idrogeno.

Si tratta del così detto ghiaccio superionico, una sostanza affascinante che immaginiamo possa giocare un ruolo chiave nella struttura di pianeti come Urano e Nettuno. Una forma già teorizza alla fine degli anni Ottanta, ma mai osservata in laboratorio. Fino ad oggi.

Un team di ricercatori guidato da Marius Millot (già noto ai lettori di Media Inaf) del Lawrence Livermore National Laboratory (Llnl), in collaborazione con le università della California, a Berkeley, e quella di Rochester, è infatti riuscito a produrre per la prima volta il leggendario ghiaccio superionico con una combinazione di impulsi laser applicati a un campione di acqua ghiacciata ad altissima pressione. I dati raccolti dall’esperimento hanno dimostrato le due caratteristiche fondamentali predette per il ghiaccio superionico: un’incredibile conducibilità elettrica e una temperatura necessaria a farlo “sciogliere” paragonabile a quella della superficie del Sole!

Federica Coppari, ricercatrice al Lawrence Livermore National Laboratory, in California

La ricerca è stata pubblicata lo scorso 6 febbraio su Nature Physics. Nel gruppo artefice di questo studio troviamo anche Federica Coppari. Ricercatrice italiana originaria di Appignano, in provincia di Macerata, dopo aver conseguito la laurea in fisica all’università di Camerino  il dottorato di ricerca, sempre in fisica, a Parigi, Coppari si è spostata al Lawrence Livermore National Laboratory, in California, dove lavora tutt’oggi come staff research scientist occupandosi principalmente dello studio della materia in condizioni estreme di pressioni e temperature. Media Inaf l’ha intervistata.

In cosa consiste questa configurazione particolare dell’acqua che avete analizzato?

«La condizione di superionicità  è un particolare stato della materia in cui gli ioni pesanti si presentano sotto forma solida, mentre quelli leggeri sono in stato liquido. Nel caso dell’acqua, l’ossigeno occupa delle posizioni ben definite dalla struttura cristallina, mentre gli idrogeni non occupano delle posizioni fisse, ma si muovono liberamente».

A cosa è dovuta? E quanto è rara da realizzare? 

«Questa condizione della materia, per l’acqua, non esiste ovviamente a condizioni ambiente. Per formarla bisogna comprimere e allo stesso tempo scaldare l’acqua. È quindi piuttosto difficile realizzarla sperimentalmente, perché le condizioni di pressione e temperatura sono molto specifiche: per esempio, se prendiamo l’acqua che conosciamo e la scaldiamo otteniamo un gas. Se invece prendiamo l’acqua e la comprimiamo senza scaldarla formiamo un solido, un ghiaccio, che ha delle proprietà diverse dal ghiaccio che troviamo comunemente sulla Terra. Nel lavoro che abbiamo pubblicato abbiamo visto che il ghiaccio superionico è stabile tra circa 100 e 200 miliardi di Pascal [ndr: milioni di volte la pressione presente qui sulla Terra] e tra 2000 e 4000 gradi Kelvin».

Voi come siete riusciti ad ottenerla?

«Per ottenere questa fase abbiamo preso un campione di acqua (l’acqua che conosciamo, per intenderci), l’abbiamo compressa usando una cella a incudini di diamante fino a formare il ghiaccio chiamato Ice VII: una struttura più densa del 60 per cento rispetto al ghiaccio che abbiamo in frigorifero. Siamo poi andati a fare i nostri esperimenti di compressione shock all’Omega Laser facility, nel Laboratory for Laser Energetics (Lle) di Rochester, New York. In pratica, abbiamo messo la cella a incudini di diamante in una camera apposita, poi abbiamo focalizzato 2000 Joule di energia laser su uno dei diamanti per formare un’onda d’urto che si propaga attraverso la cella, comprimendo e scaldando l’acqua ulteriormente».

Immagine dall’esperimento di compressione shock, ottenuta con il laser per ricreare le condizioni all’interno dei pianeti e studiare le proprietà dell’acqua superionica. Crediti: M. Millot / E. Kowaluk / J. Wickboldt / Llnl / Lle / Nif

Che differenze ci sono tra l’acqua tipo questa, che possiamo trovare nel mantello di un pianeta come Urano o Nettuno, rispetto a quella del ghiaccio che conosciamo qui sulla Terra, quello che usiamo per fare il mojito, per intenderci?

«Il ghiaccio che troviamo sulla Terra, stabile a basse temperature, è il cosiddetto ghiaccio esagonale, in cui la disposizione degli atomi è caratterizzata da una struttura cristallina aperta e a bassa densità (più bassa dell’acqua liquida). Cambiando le condizioni di pressione e temperature il ghiaccio può diventare acqua (scaldando) o assumere una struttura cristallina diversa (comprimendo). Ecco perché all’interno di pianeti tipo Urano e Nettuno, nei quali ci aspettiamo pressioni di centinaia di miliardi di Pascal e migliaia di gradi Kelvin, l’acqua avrà una struttura e delle proprietà sicuramente diverse da quelle del ghiaccio che usiamo per fare il mojito! Probabilmente l’interno dei pianeti non sarà formato da acqua pura, ma da composti e misture di carbonio, idrogeno, ossigeno e azoto. Lo studio delle proprietà dell’acqua pura alle condizioni che ci aspettiamo all’interno di questi pianeti è comunque un primo passo verso una comprensione più approfondita dei meccanismi che hanno portato alla formazione di questi pianeti».

Quali sono le implicazioni e gli sviluppi futuri di questo lavoro? 

«Le implicazioni si possono identificare su diversi fronti: per quanto riguarda la fisica fondamentale, è la prima osservazione sperimentale che questo stato della materia, predetto sulla base di calcoli teorici più di 30 anni fa, esiste nell’acqua. Un’altra implicazione per le scienze riguarda il campo magnetico di questi pianeti, che è intimamente legato a come si sono formati ed evoluti. La visione di molti planetologi è che Urano e Nettuno siano caratterizzati da una struttura interna formata da fluidi convettivi. Altri hanno invece postulato una struttura a strati, con un sottile strato fluido e un mantello di ghiaccio superionico per spiegare le anomalie del campo magnetico di questi pianeti. La scoperta che il ghiaccio è in effetti superionico alle condizioni interne di Urano e Nettuno dà credito a questa teoria. Anche gli sviluppi futuri sono molteplici. Una domanda ovvia è: qual è l’effettiva struttura dell’ossigeno nell’acqua superionica? Con esperimenti di diffrazione X si potrà rispondere a tale quesito. Ulteriori sviluppi riguardano l’esplorazione del diagramma di fase dell’acqua a più alte pressioni per vedere fino a dove si estende il dominio di stabilità del ghiaccio superionico. Non tralasciamo, ovviamente, lo studio delle misture di C-H-O-N per avere un’idea più precisa di cosa succede all’interno di questi pianeti».

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