Passano gli anni ma la materia oscura continua a essere un mistero. In tutto il mondo, i fisici hanno cercato per decenni di determinare la natura di queste particelle che non emettono luce e sono quindi invisibili all’occhio umano. La loro esistenza fu postulata negli anni ’30 per spiegare alcune osservazioni astronomiche di ammassi di galassie lontani e di grande massa. Di fatto, la materia visibile, come quella che costituisce le stelle e la Terra, rappresenta solo il 5 per cento dell’universo, mentre il 27 per cento – stando alle ultime stime derivate dalle misure del satellite Planck nel 2013 – sembrerebbe costituito da materia oscura. Oscura sia perché non emette luce, sia perché non abbiamo ancora capito di cosa sia fatta. Ma di sicuro qualcos’altro di non visibile ci deve essere, perché altrimenti non si spiegherebbero le curve di rotazione delle galassie a spirale, le lenti gravitazionali e la deviazione della luce evidente in migliaia di immagini astronomiche. Tuttavia, fino ad oggi, nonostante le numerose ricerche, è risultato impossibile identificare le particelle effettivamente coinvolte.
Recentemente i ricercatori della Johannes Gutenberg University Mainz (Jgu) hanno presentato una nuova teoria sulla materia oscura, in base alla quale le particelle che la costituiscono potrebbero essere molto diverse da quello che si sta supponendo nella maggior parte dei modelli. In particolare, la loro teoria prevede particelle di materia oscura estremamente leggere, quasi cento volte più leggere degli elettroni, in netto contrasto con molti modelli convenzionali che coinvolgono invece particelle di materia oscura molto pesanti. Attualmente, tra i candidati più quotati per la materia oscura abbiamo le Wimp, particelle dotate di massa che interagiscono debolmente. I ricercatori le stanno cercando nei Laboratori nazionali del Gran Sasso dell’Infn con esperimenti come Xenon1T, attualmente il più sensibile esperimento al mondo per la ricerca di materia oscura. Ma, negli ultimi tempi, alcune pubblicazioni scientifiche nel campo della fisica delle astro-particelle stanno sempre più insinuando il dubbio che le Wimp non siano i candidati più validi per la materia oscura.
«Attualmente stiamo cercando possibili alternative alle Wimp», dice Joachim Kopp della Mainz University, fra i coautori dello studio che illustra la nuova teoria, pubblicato su Physical Review Letters. Il fisico, insieme ai colleghi Vedran Brdar, Jia Liu e Xiao-Ping Want, ha esaminato più da vicino i risultati delle osservazioni compiute nel 2014 da diversi gruppi scientifici, i quali segnalarono, indipendentemente, la presenza di una linea spettrale che precedentemente non era mai stata rilevata, con un energia di circa 3,5 kiloelettronvolt (keV), dunque nella banda dei raggi X, proveniente da galassie e ammassi di galassie lontani. Questa insolita radiazione X potrebbe di fatto rappresentare un indizio della materia oscura, visto che era stato precedentemente sottolineato che le particelle di materia oscura potrebbero decadere, emettendo raggi X. Tuttavia, il team di Joachim Kopp del Mainz-based Cluster of Excellence on Precision Physics, Fundamental Interactions and Structure of Matter (Prisma) sta proseguendo le indagini usando un approccio diverso.
Lo scenario proposto dai ricercatori di Prisma prevede due particelle di materia oscura che si scontrano, provocando la reciproca annichilazione. Questo processo sarebbe analogo a ciò che accade, ad esempio, quando un elettrone incontra la sua antiparticella, il positrone. «È stato a lungo ipotizzato che non sarebbe stato possibile osservare una simile annichilazione della materia oscura se fosse costituita da particelle luminose», spiega Kopp. «Abbiamo esaminato accuratamente il nostro nuovo modello, facendo verifiche e controlli con i dati sperimentali, e tutto sembra tornare molto meglio rispetto ai modelli precedenti».
Secondo il modello di Kopp, le particelle di materia oscura sarebbero fermioni con una massa di pochi keV, spesso chiamati neutrini sterili. Il problema che nasce quando si assume una materia oscura leggera è che rende difficile spiegare la formazione delle galassie. Secondo Kopp, però, il loro modello offre una via d’uscita elegante a questo impasse, supponendo che l’annichilazione della materia oscura sia un processo a due fasi: durante la fase iniziale si forma uno stato intermedio che successivamente si disintegra nei fotoni X osservati. «I risultati dei nostri calcoli mostrano che la firma a raggi X del processo è strettamente correlata con le osservazioni, offrendo pertanto una nuova e possibile spiegazione alle misure», conclude Kopp. Allo stesso tempo, il nuovo modello è così generale che offrirà un interessante punto di partenza per la ricerca della materia oscura, anche se di fatto rivela che la riga spettrale scoperta nel 2014 ha un’origine diversa da quella che si pensava, ossia non sembra essere generata da neutrini dotati di massa che decadono in un fotone e in un neutrino normale. I fisici teorici e sperimentali di Jgu stanno attualmente lavorando alla missione Esa e-Astrogram, che mira ad analizzare la radiazione X di origine astrofisica con un’accuratezza attualmente senza precedenti.
Per saperne di più:
- Leggi su Physical Review Letters l’articolo “X-Ray Lines from Dark Matter Annihilation at the keV Scale“, di Vedran Brdar, Joachim Kopp, Jia Liu, and Xiao-Ping Wang
- Sulla riga a 3.5 keV, leggi su Media Inaf l’articolo “Chandra potrebbe aver “visto” la dark matter“