MARCO BUTTU, TREDICI MESI IN ANTARTIDE

Tramonto alla fine del mondo

Il sole poggia sull’orizzonte innevato, sta per avere inizio l’isolamento dell’inverno polare. Pian piano si arriverà a toccare temperature di -80 °C. Alla Stazione Concordia sono rimasti in 13: gli esseri umani più isolati del pianeta, ancor più degli astronauti a bordo della Stazione spaziale internazionale

     18/02/2018

Dopo lunghi mesi, anche al Polo sud il sole è al tramonto, segnando l’inizio di una notte lunghissima. Crediti: Marco Buttu / Pnra

«L’estate antartica è ormai terminata. Dopo quasi tre mesi trascorsi a Concordia Station, abbiamo appena assistito al nostro primo tramonto». Così Marco Buttu inizia a raccontare a Media Inaf le sensazioni di questo momento cruciale della missione regalandoci una parte dei pensieri annotati nel suo diario di viaggio.

Il 6 febbraio alle 9 del mattino è arrivato il fatidico giorno della partenza. Il Basler ha spiccato il volo con a bordo gli ultimi membri della spedizione estiva. La Stazione Concordia è diventata improvvisamente un luogo quasi disabitato: tutti i mezzi sono stati posti al riparo dal freddo, e all’esterno non c’è più alcun movimento. Le temperature scendono giorno dopo giorno: dai -22 gradi di fine dicembre ai -46 di oggi. Pian piano si arriverà a toccare temperature di 80 gradi sotto zero, e considerato il vento, vuol dire che il corpo percepirà anche -100.

«Da qui a maggio le ore di buio aumenteranno giorno dopo giorno, fino a che arriverà una lunga e gelida notte di quasi quattro mesi, che trascorreremo in compagnia delle stelle», dice Marco. «Concordia Station è attualmente popolata solamente da noi 13 “invernanti”, e resteremo isolati sino a novembre, senza possibilità di evacuazione. Assieme ai 13 russi della base di Vostok, siamo gli esseri umani più isolati del pianeta, ancor più degli astronauti che orbitano attorno alla Terra sulla stazione spaziale internazionale”.

Anche il Basler se ne va. Non farà più ritorno per mesi, lasciando i 13 “invernanti” della Stazione Concordia più soli e isolati che mai. Crediti: Marco Buttu / Pnra

Fino all’ultimo decollo del Basler, a Concordia Station avevano soggiornato contemporaneamente anche 60 persone – provenienti da varie nazioni: Italia, Francia, Austria, Germania, Belgio, Svizzera, Stati Uniti e Canada – che si sono alternate in un brulicare di molteplici attività. «La campagna estiva è stata impegnativa, sia a causa dell’elevato numero di progetti scientifici in campo, sia perché eravamo tanti. Abbiamo riempito ogni angolo della base e condiviso tutti gli spazi, stringendo dei forti legami personali».

Marco, ti abbiamo lasciato poco prima di Natale che avevi appena festeggiato il tuo quarantesimo compleanno anni. Come si sono svolte le tue giornate da allora?

«Il ritmo delle giornate è stato cadenzato dai pasti. Ci si incontrava alle 7 per la colazione, poi alle 12 per il pranzo, e alle 19 per la cena. Immediatamente dopo il pranzo ci si riuniva davanti al biliardino (calcetto, baby foot, calcio balilla…): “chi perde esce”, per cui massima concentrazione per circa mezzora, fino alla ripresa del lavoro. Non ci son state grandi variazioni rispetto alla routine, se non qualche eccezioneUna di queste è stata il 24 dicembre, quando a Concordia è arrivato via terra il combustibile per l’inverno con la cosiddetta traversa, gestita dai francesi: sono partiti il 9 dicembre, e hanno percorso 1300 km in mezzo all’Antartide, dalla stazione francese Dumont d’Urville sino alla Stazione Concordia. La carovana era composta da due gatti delle nevi in testa che aprivano la strada, sette caterpillar al seguito. In tutto undici avventurieri, tre dei quali italiani».

L’arrivo di Enrico Ghisu. Crediti: Marco Buttu / Pnra

Che cosa ricordi di quel giorno?

«L’incontro con Enrico Ghisu, anche lui sardo. Da mesi abbiamo provato a immaginare il suo arrivo a Concordia, e nel mese precedente la sua partenza da Dumont d’Urville ci siamo sentiti costantemente, cercando di capire quale sarebbe stata la posizione migliore per fare le foto. Quel giorno, il 24 dicembre, l’ho aspettato per 3 ore fuori al freddo. Con il teleobiettivo scrutavo l’orizzonte alla ricerca di qualche puntino nero, ed eccolo, finalmente, alle 13.30 circa. Un puntino che pian piano ha preso consistenza sino a diventare una carovana. Sapevo sarebbe stato un momento emozionante, ma lo avevo sottostimato».

Quindi avete trascorso la Vigilia di Natale tutti insieme?

«Sì, abbiamo fatto una grande festa, e i ragazzi della traversa mi hanno fatto sognare a occhi aperti con le loro storie. Una su tutte: Louis, un ragazzo francese, tra un bicchiere e l’altro mi ha raccontato di quando ha navigato per 14 mesi consecutivi in kayak, dormendo ogni notte in tenda. Ha costeggiato la Spagna, l’Italia sia nel Mediterraneo che nell’Adriatico, poi è sceso sino alla Grecia, ha mollato il kayak ed è tornato in Francia in aereo. È stata veramente una giornata fantastica!».

Nello snow pit, la trincea. Crediti: Marco Grotti / Pnra

Hai un’altra giornata dell’estate antartica appena finita che ti piacerebbe raccontarci?

«Pochi giorni dopo Natale, ho avuto l’opportunità di vivere una giornata da glaciologo. Con Andrea Spolaor, Giulio, Alessandro Baù, Marco Grotti e Angelo Domesi alla guida di un gatto delle nevi, abbiamo fatto un viaggetto per andare in una clean area a 7 km circa dalla base. Quando siamo scesi dal gatto, l’atmosfera era incantevole. La base si vedeva a malapena, e ci siamo sentiti veramente lontani da tutto. Attorno a noi si vedeva solo una distesa piatta completamente bianca, in ogni direzione. Abbiamo scavato una trincea alta quattro metri e larga due. Non potevamo scavare con il gatto delle nevi, perché poi la neve nella parete della trincea andava campionata, e non potevamo rischiare di contaminarla. Più si va giù in profondità più la neve è compatta, per cui assieme alla pala usavamo un seghetto, con il quale tagliavamo dei blocchi di neve per poi portarli in superficie con un passamano. Per pranzo siamo tornati nel gatto e abbiamo mangiato dei panini. Eravamo in mezzo al nulla, dentro il gatto in un silenzio assoluto. Abbiamo poi ripreso a scavare, e quando siamo arrivati alla profondità di quattro metri è stato veramente suggestivo. Il nostro respiro creava della nebbia in fondo alla trincea, e quasi non si vedeva più il cielo. Ci siamo spaccati la schiena, ma ne è valsa la pena. Abbiamo trascorso una giornata memorabile, faticando moltissimo ma soprattutto ridendo e scherzando».

Adesso l’inverno è alle porte e siete rimasti solo in tredici. Come ti senti?

«Il tempo è poi trascorso velocemente: in un batter d’occhio siamo arrivati a metà gennaio, e pian piano tutti gli amici della campagna estiva son partiti. Ho pianto a ogni volo, ma la tristezza ha poi sempre lasciato il posto alla felicità. Felice di aver stretto dei rapporti umani così forti e aver speso del tempo con persone meravigliose, che ormai fanno parte di una mia nuova famiglia. Penso spesso a quanto sono fortunato a stare qua, e adesso i pensieri si fanno ancora più intensi, alimentati dal silenzio che ci circonda».

E mentre noi ci avviciniamo con calma alla primavera, al Polo sud tredici avventurieri sono pronti ad affrontare la parte più complessa della missione, quella in cui non si può essere raggiunti per nessun motivo.

Grazie Marco per condividere con noi le preziose pagine della tua avventura!


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