«Il 24 marzo 2017 non è stato un giorno qualunque, per Proxima Centauri», giura Meredith MacGregor, ricercatrice postdoc a Washington, alla Carnegie Institution for Science. E c’è da crederle: era dal gennaio precedente che lei e la collega Alycia Weinberger, insieme ad altri astronomi da tutto il mondo, tenevano le antenne di Alma puntate verso la stella a noi più vicina dopo il Sole – Proxima Centauri, appunto: una nana rossa a 4.23 anni luce da noi, divenuta improvvisamente celebre nell’agosto del 2016 con la scoperta dell’esopianeta Proxima b in orbita attorno alla stella. Scoperta che da subito suscitò grande entusiasmo: così “vicino”, vuoi vedere che è pure abitabile… Ma con le osservazioni successive l’entusiasmo è andato un po’ scemando. E l’evento registrato il 24 marzo dello scorso anno giunge come una nuova mazzata, confermando che la nostra vicina di casa non è proprio un tipetto tranquillo, anzi: le sue intemperanze possono essere fatali.
Torniamo dunque a quel venerdì 24 marzo 2017. Qui in Italia sono circa le otto di mattina quando laggiù in Cile, nel deserto di Atacama, le antenne rivolte verso Proxima Centauri registrano un segnale a 233 GHz di poco più d’un minuto di durata. Un flusso molto intenso: la luminosità della stella aumenta di circa mille volte in appena dieci secondi. L’intemperanza. In gergo astrofisico, è un brillamento, in inglese flare: quello che avviene quando un cambiamento nel campo magnetico di una stella accelera gli elettroni a velocità prossime a quella della luce. Elettroni che interagiscono con il plasma altamente carico del quale è fatta la maggior parte delle stelle, provocando così un’intensa emissione lungo tutto lo spettro elettromagnetico.
Quello del 24 marzo registrato da Alma è un superflare: dieci volte più intenso del più potente flare mai emesso dal Sole alle stesse lunghezze d’onda. Se mai Proxima b avesse davvero ospitato la vita, il susseguirsi di brillamenti come questo avrebbe avuto conseguenze devastanti.
«È probabile che, durante il brillamento, Proxima b sia stato investito da radiazioni ad alta energia», spiega MacGregor, ricordando che già si sapeva dell’inclinazione di Proxima Centauri a queste esplosioni. «Brillamenti come questo, nel corso dei miliardi di anni durante i quali Proxima b si è formato, potrebbero aver evaporato qualsiasi atmosfera od oceano, e sterilizzato la superficie. Questo ci fa pensare che il concetto di abitabilità potrebbe dover mettere in conto qualcosa di più del semplice trovarsi alla distanza giusta dalla stella ospite così da avere acqua liquida».
Per saperne di più:
- Leggi su The Astrophysical Journal Letters l’articolo “Detection of a Millimeter Flare From Proxima Centauri”, di Meredith A. MacGregor, Alycia J. Weinberger, David J. Wilner, Adam F. Kowalski, Steven R. Cranmer