Con l’arrivo del Burian, il freddo dal Nord, a essersi raffreddato non è solo il nostro clima, ma anche l’intero universo. In contemporanea con lo straordinario freddo che sta colpendo l’Italia, è stato pubblicato su Nature un paper che svela un tassello degli albori del nostro universo, il periodo della nascita delle prime stelle. Un periodo in cui l’universo era due volte più freddo di quanto si ipotizzasse.
L’epoca successiva al Big Bang è un periodo alquanto oscuro. Letteralmente. All’epoca lo spazio era permeato da particelle fondamentali ammassate, una densa zuppa cosmica, così densa che i fotoni venivano continuamente emessi e riassorbiti dalle particelle, rendendo lo spazio opaco. Con l’espansione dell’universo la densità di questa zuppa è andata pian piano a diminuire. Dopo 380mila anni protoni e elettroni riuscirono ad accoppiarsi portando alla formazione dell’idrogeno, in quella che viene chiamata epoca delle ricombinazione. I fotoni furono quindi liberi di muoversi nell’universo dando origine alla radiazione cosmica di fondo. Successivamente, con il passare del tempo e con l’aiuto della gravità, si formarono le prime stelle.
Furono proprio queste prime stelle, gigantesche, azzurre e dalla vita breve, con la loro potente radiazione ultravioletta, a strappare gli elettroni dall’idrogeno (fino ad allora neutro), ionizzandolo. La nebbia di gas che permeava l’universo venne diradata, la luce si poté diffondere nell’universo. L’era oscura ebbe termine, iniziò l’epoca della reionizzazione e dello spazio visibile come lo conosciamo.
Il periodo esatto in cui le prime stelle hanno iniziato a splendere, situato in un ampio lasso di tempo compreso fra i 150 milioni e il miliardo di anni dopo il Big Bang, non è ben definito. Ma un team di ricercatori guidato da Alan Rogers del Mit Haystack Observatory e da Judd Bowman dell’Arizona State University, dopo più di dieci anni di ricerca, progettazione, calibrazione e raccolta dati, è riuscito a individuare un debole segnale radio che mostra le tracce di queste antiche stelle già a 180 milioni di anni dopo il Big Bang.
Per compiere questa delicatissima osservazione è stata usato un radiospettrometro ultrasensibile, una particolare antenna radio capace di scovare la “firma” dell’origine del segnale, chiamato Edges (Experiment to Detect Global EoR Signature). Per cercare di ridurre al minimo il rumore di fondo l’antenna è stata posizionata in una zona di silenzio radio nella parte occidentale dell’Australia, presso il Murchison Radioastronomy Observatory di Csiro.
«Questa scoperta è stata una grande sfida tecnica», dice Peter Kurczynski, direttore del programma dell’Advanced Technologies and Instrumentation della Division of Astronomical Sciences presso la National Science Foundation, che ha finanziato il progetto, «le fonti di rumore possono essere migliaia di volte più potenti del segnale che stavano cercando. È come essere nel mezzo di un tifone e cercare di sentire il battito d’ali di un colibrì».
Il team di ricerca è riuscito a individuare, nello spettro della radiazione cosmica di fondo a microonde, una lieve diminuzione del segnale attorno ai 78 MHz: una distorsione spettrale compatibile – tenendo conto dello spostamento verso il rosso dovuto all’espansione dell’universo – con la riga d’assorbimento a 21 cm dell’idrogeno ionizzato dalla luce ultravioletta delle prime stelle. Una diminuzione lieve, dicevamo, ma comunque due volte più profonda rispetto a quanto previsto dai modelli teorici. Questo può significare che l’idrogeno e l’intero universo, all’epoca, fossero due volte più freddi, con temperature attorno ai 3 kelvin, circa -270 °C.
«Questo è il primo vero segnale che le stelle stanno iniziando a formarsi, e iniziano a interagire con il mezzo attorno a loro», spiega Rogers. «Ciò che accade, in questo periodo, è che un po’ della radiazione delle prime stelle permette all’idrogeno di essere osservato. Gli atomi di idrogeno assorbono la radiazione, e questo si può intravedere come un’alterazione del suo profilo a precise frequenze radio».
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Per saperne di più:
- Leggi su Nature l’articolo “An absorption profile centred at 78 megahertz in the sky-averaged spectrum“, di Judd D. Bowman, Alan E. E. Rogers, Raul A. Monsalve, Thomas J. Mozdzen & Nivedita Mahesh