COSÌ DIALOGANO GALASSIE E BUCHI NERI

Parola al vento

Il numero di marzo di Nature Astronomy dedica uno speciale in cinque articoli, firmati in gran parte da astrofisiche e astrofisici italiani, allo stato delle conoscenze sul fenomeno dell’Agn feedback. Media Inaf ha intervistato una delle autrici, Marcella Brusa, ricercatrice all’Università di Bologna

     01/03/2018

Così come il soffio strappa al soffione il suo ciuffo di peli bianchi ma al tempo stesso ne sparge i semi agevolandone la diffusione, il vento del buco nero sottrae materia prima alle stelle (feedback negativo) ma la comprime anche al punto da agevolarne l’accensione (feedback positivo). Crediti: G. Cresci / Inaf

Fra i tanti maestosi fenomeni che ci offre l’universo, il cosiddetto Agn feedback (dove ‘Agn’ sta per active galactic nuclei) non è certo in cima alla lista dei più popolari: a differenza di big bang, buchi neri e stelle che si fondono, capaci di solleticare l’immaginazione di moltissimi di noi, l’Agn feedback non ha nemmeno – per ora – una voce tutta sua su Wikipedia. Ma è esattamente da vent’anni che catalizza l’attenzione degli astrofisici. Nulla di cui stupirsi: quanti di noi, esperti di sistemi a retroazione esclusi, entrando in una casa rimarrebbero affascinati dal termostato? Eppure, se non l’oggetto in sé, il concetto di termostato, di fascino, a ben pensarci ne ha eccome: è lì, in quella minuscola scatoletta, che la casa e la caldaia s’incontrano, comunicano, s’influenzano l’un l’altra – scaldami e ti spengo, raffreddati e mi riaccendo. Feedback. Feedback negativo, in questo caso. La zigzagante via verso l’equilibrio.

Ecco, l’Agn feedback è un po’ come il termostato: è il modo – il luogo, il meccanismo – attraverso il quale un buco nero supermassiccio comunica con la galassia che lo ospita. Solo che, a differenza del termostato, il suo feedback può essere sia negativo che positivo: quest’ultimo la via, come vedremo, non all’equilibrio bensì all’esplosione. E l’oggetto che lo realizza non è un’innocua scatoletta, bensì un vento impetuoso (outflow, lo chiamano gli astrofisici) che sferza la galassia a velocità prossime a quella della luce.

A riprova dell’importanza dell’argomento, il numero di marzo di Nature Astronomy dedica all’Agn feedback uno speciale di ben cinque articoli, molti a firma italiana. Articoli, spiega a Media Inaf una delle autrici, Marcella Brusa – ricercatrice all’università di Bologna e associata Inaf – nati a seguito di un workshop che si è tenuto al Lorentz Center di Leiden, in Olanda, lo scorso ottobre.

Marcella Brusa, ricercatrice all’Università di Bologna e associata Inaf

«Eravamo in 27, circa la metà italiani, ricorda Brusa, «tutti impegnati nel campo dell’Agn feedback: l’impatto dei nuclei galattici attivi sulle galassie ospiti. Era presente anche un editor di Nature Astronomy, Marios Karouzous. Al termine del workshop, ci ha proposto di raccogliere le nostre discussioni in una serie di interventi per il numero di marzo della rivista. E noi abbiamo preso la palla al balzo!».

Quando è nato questo interesse, nella comunità astronomica, per l’Agn feedback?

«La letteratura su outflows e Agn feedback è letteralmente esplosa a partire dal 1998, quando sono state scoperte, osservativamente, le prime relazioni fra le masse dei buchi neri supermassicci al centro delle galassie da una parte e le proprietà delle galassie ospiti dall’altra. Questo ha dato il via a un campo di ricerca dedicato allo studio dell’effetto che può avere il buco nero al centro d’una galassia sulla galassia stessa. Da allora si sono compiuti molti progressi sia dal punto di vista osservativo sia da quello teorico, man mano che diventavano disponibili strumenti sempre migliori per andare a studiare il processo in dettaglio».

Cos’è che vi incuriosiva maggiormente?

«Non era immediato capire come un fenomeno che avviene in una porzione molto ridotta, al centro della galassia, abbia poi effetto in regioni lontanissime. La domanda era: come fanno a comunicare? Uno dei possibili meccanismi di comunicazione è proprio la produzione di energia. Energia che parte dal buco nero centrale sotto forma di vento, per poi propagarsi – a velocità diverse e in fasi diverse, anche nel mezzo interstellare – lungo tutta l’estensione della galassia e anche oltre».

Vento in che senso? È proprio materia che si muove?

«Sì, è un vento di materia, perché spazza e porta con sé il gas interstellare, che è materia. Anche se, nel punto di origine, si ritiene che possa essere un vento di radiazione, dovuto all’accrescimento della materia attorno al buco nero».

E le diverse fasi, a cosa si riferiscono?

«Per ‘fasi’ intendiamo la natura del gas interstellare: molecolare (è la fase in cui si formano le stelle), atomica, ionizzata o altamente ionizzata. Il vento che parte dal buco nero centrale è anche quello più caldo, e quindi più altamente ionizzato».

Dunque avete individuato il mezzo attraverso il quale buchi neri e galassie possono comunicare. Problema risolto, dunque?

«Purtroppo no: ancora non sappiamo esattamente come avvenga la comunicazione. Quello che pensiamo è che l’accrescimento della materia sul buco nero – perché il buco nero “mangia” materia, diciamo così – rilasci quest’energia di grande potenza, emessa sotto forma di venti a raggi X, che viaggiano a velocità quasi prossime a quella della luce.  E man mano che si propaga, interagisca con il mezzo interstellare, diminuisca la velocità, perda momento (oppure, conservi momento e perda energia) e vada a impattare sul mezzo interstellare in cui si trova. Infatti, allontanandoci dal buco nero centrale, vediamo questo vento rallentare, viaggiare a una velocità molto minore di quella della luce. Quello che ancora non è chiaro è quale sia l’effetto dominante che ha, questo vento, sulle proprietà della galassia ospite, come per esempio la formazione stellare, visto che sono stati riportati sia fenomeni di soppressione di formazione stellare che di aumento della stessa».

Tre regioni d’azione del fenomeno, dalla più piccola (in alto a sinistra, con estensione minore di 1 parsec), con il buco nero e il suo disco d’accrescimento, alla più estesa, a destra, che comprende l’intera galassia. Fonte: Nature Astronomy, C. Cicone et al., 2018

Insomma, non vi è chiarissimo come comunichino, ma anche su cosa si dicono mi par di capire che ci sia un bel punto di domanda…

«Già. È che il buco nero interagisce con la galassia in due modi, e abbiamo evidenze osservative di entrambi: attraverso un meccanismo di feedback negativo e uno di feedback positivo. Nel caso del feedback negativo, l’effetto del vento che si propaga dal buco nero è quello di rimuovere il gas della galassia. Una volta rimosso, soprattutto nel caso di gas nella sua fase molecolare, viene a mancare il combustibile per poter formare le stelle, e quindi la galassia piano piano si spegne. L’altro effetto è quello del feedback positivo: lo stesso vento che rimuove parte del gas, nel gas che rimane può provocare una compressione. E questa compressione può far sì che s’ inneschi la formazione stellare».

È di questo che avete discusso, a Leiden?

«Sì, di questo e di tutti i punti ancora aperti, che sono tanti. Primo, il meccanismo di propagazione del vento che si origina sulla scala del buco nero fino alla scala della galassia ospite. Secondo, l’interazione sulle varie fasi: come e quando il gas cambia fase, passa da molecolare a ionizzato, e quanta massa, quanto materiale è in movimento nelle varie fasi. Terzo, il confronto fra i dati osservativi e i modelli».

E come pensate di affrontare queste domande?

«Abbiamo bisogno di strumenti che siano in grado di fare spettroscopia spazialmente risolta. Vale a dire, che ci permettano di andare a osservare, punto per punto, non solo l’intensità del segnale che vediamo nelle immagini ma anche lo spettro, quindi misurare la velocità del materiale. Solo così riusciamo a determinare con precisione i parametri che servono per sviluppare un modello del fenomeno: il raggio, dunque fino a quale distanza viaggia questo vento, la velocità e la massa. Per ora brancoliamo ancora un po’ nel buio, o meglio: i risultati di cui disponiamo hanno ancora troppe incertezze».

Quali telescopi servono, per studiare l’Agn feedback?

«Gli strumenti migliori sono nel millimetrico, primo fra tutti Alma,  con il quale è possibile studiare il gas nella sua forma molecolare fredda. Sempre dell’Eso, al Vlt c’è Muse, per lo studio del gas ionizzato nell’ottico in Agn nell’Universo vicino. Per lo studio del gas molecolare caldo e ionizzato ad alto redshift, una rivoluzione arriverà con il James Webb Telescope, che sarà lanciato il prossimo anno,+. Infine, per lo studio dei venti originati dalle regioni più vicine al buco nero centrale, abbiamo sempre Chandra e Xmm, i due satelliti X di bandiera che usiamo da moltissimo tempo. Nel futuro, la svolta arriverà con Athena, il telescopio spaziale perfetto per questo tipo di studi».


Marcella Brusa spiega a MediaInaf Tv la differenza tra Agn feedback negativo e positivo:

Per saperne di più:

Note sulla partecipazione italiana:

  • Due articoli sono a guida italiana. I primi firmatari sono Claudia Cicone (Inaf di Brera) e Marcella Brusa per quello sul multiphase outflow, Giovanni Cresci (Inaf di Arcetri) e Roberto Maiolino (Università di Cambridge) per la parte sul positive e negative feedback. In più c’è anche un perspective article di Chris Harrison nel quale c’è un contributo importante di due giovani ricercatori dell’Inaf, Michele Perna di Arcetri e Giustina Vietri, neodottorata all’Inaf di Roma e adesso ricercatrice postdoc a Eso. Infine, fra i coautori italiani all’estero, ci sono anche Vincenzo Mainieri (Eso) e Raffaella Morganti (Astron, Olanda), mentre Angela Bongiorno dell’Inaf di Roma era una delle organizzatrici del workshop ha dato origine a questo sforzo collettivo.