I meccanismi attraverso i quali si formano ed evolvono i sistemi planetari sono estremamente complessi, a causa dei molti processi fisici coinvolti nelle interazioni tra la stella genitrice e i suoi pianeti. I tantissimi sistemi planetari che si stanno scoprendo in questi ultimi anni presentano, infatti, delle “architetture” (numero e dimensioni dei pianeti, distanza dei pianeti dalla propria stella, ecc.) completamente differenti tra di loro e da quella del Sistema solare.
Una delle scoperte più inaspettate è stata sicuramente quella dei cosiddetti “Hot Jupiter”, cioè pianeti con massa simile a quella di Giove, ma con periodo orbitale di solo pochi giorni. La vicinanza alle proprie stelle li rende quindi particolarmente caldi, con temperature che in alcuni casi possono superare anche i 2000 gradi kelvin. L’esistenza di pianeti giganti così vicini alle proprie stelle è una chiara indicazione che i pianeti, durante la loro evoluzione, possono migrare dalla zona di formazione verso le zone più interne dei sistemi planetari, fino addirittura ad essere inghiottiti dalle stelle. Anche in questo caso, capire come avvengano i fenomeni di migrazione è estremamente complesso e sono tanti e diversi i modelli proposti dai teorici.
Un parametro osservabile, che sembra essere in grado di discriminare tra i vari modelli, è l’obliquità orbitale dei pianeti, cioè l’angolo formato tra l’asse dell’orbita di un pianeta e quello di rotazione della sua stella. Simulazioni numeriche suggeriscono che le orbite eccentriche e oblique sono il risultato di una forte interazione tra pianeti nei primi stadi di evoluzione del sistema planetario, mentre ci aspettiamo che le orbite planetarie siano molto più allineate – parallele – nel caso in cui l’interazione predominante sia quella tra il pianeta e il disco di accrescimento della stella. Quindi risulta particolarmente importante riuscire a misurare l’obliquità orbitale di un gran numero di pianeti, in modo da avere un campione statisticamente significativo di sistemi planetari.
A tale scopo, e nell’ambito del programma Gaps (Global Architecture of Planetary Systems), si è utilizzato lo spettrografo ad alta risoluzione Harps-N, montato al Telescopio nazionale Galileo. In particolare, il gruppo coordinato da Elvira Covino e Massimiliano Esposito, entrambi dell’Inaf di Napoli, ha stimato l’obliquità orbitale di un ampio campione di sistemi esoplanetari transitanti, grazie a misure di velocità radiale estremamente precise, ottenute con Harps-N. Tali osservazioni hanno permesso di misurare nei sistemi in esame l’effetto Rossiter-McLaughlin, effetto che si manifesta ogni qual volta un pianeta transita davanti alla stella, e da questo risalire al grado di allineamento dell’orbita del pianeta transitante con l’asse di rotazione della sua stella.
«Non è per niente facile risalire alle varie fasi di evoluzione e capire i meccanismi fisici della migrazione degli hot Jupiter», dice Luigi Mancini, ricercatore presso l’Università di Roma Tor Vergata e primo autore dell’articolo che presenta i risultati, in uscita su Astronomy & Astrophysics. «L’obliquità dell’orbita potrebbe essere la chiave fondamentale per individuare tali processi fisici. È per questo motivo che stiamo studiando un grande campione di esopianeti. Grazie a Harps-N, con quest’ultimo lavoro abbiamo dato un nuovo, importante contributo. In particolare, ci siamo concentrati sulla caratterizzazione di cinque pianeti transitanti: Hat-P-3b, Hat-P-12b, Hat-P-22b, Wasp-39b e Wasp-60b, e sulla determinazione della loro obliquità orbitale attraverso la misurazione dell’effetto Rossiter-McLaughlin. Questo studio ci ha rivelato che due di questi pianeti, Hat-P-22b e Wasp-39b, sono ben allineati, che l’orbita dell’esopianeta Hat-P-3b è leggermente disallineata e che quella di Hat-P-12b sembra fortemente disallineata. Infine, Wasp-60b si sta muovendo inaspettatamente su un’orbita retrograda, cioè la rotazione del pianeta intorno alla stella e la rotazione della stella intorno al proprio asse avvengono in direzioni opposte. Quest’ultima configurazione è abbastanza insolita, anche se è stata già osservata in altri sistemi esoplanetari».
«Sebbene abbiamo scoperto più di 3500 sistemi esoplanetari nella nostra galassia», conclude Mancini, «continuo a rimanere estremamente affascinato dalla loro varietà e dalle loro caratteristiche, che in alcuni casi hanno confermato vecchie visioni fantascientifiche, ma in molti casi sono andate ben aldilà dell’immaginazione umana».
Per saperne i più:
- Leggi il preprint dell’articolo in uscita su Astronomy & Astrophysics “The GAPS Programme with HARPS-N at TNG XVII: Measurement of the Rossiter-McLaughlin effect of the transiting planetary systems HAT-P-3, HAT-P-12, HAT-P-22, WASP-39 and WASP-60“, di L. Mancini, M. Esposito, E. Covino, J. Southworth, K. Biazzo, I. Bruni, S. Ciceri, D. Evans, A. F. Lanza, E. Poretti, P. Sarkis, A. M. S. Smith, M. Brogi, L. Affer, S. Benatti, A. Bignamini, C. Boccato, A. S. Bonomo, F. Borsa, I. Carleo, R. Claudi, R. Cosentino, M. Damasso, S. Desidera, P. Giacobbe, E. Gonzalez-Alvarez, R. Gratton, A. Harutyunyan, G. Leto, A. Maggio, L. Malavolta, J. Maldonado, A. Martinez-Fiorenzano, S. Masiero, G. Micela, E. Molinari, V. Nascimbeni, I. Pagano, M. Pedani, G. Piotto, M. Rainer, G. Scandariato, R. Smareglia, A. Sozzetti, G. Andreuzzi, Th. Henning