DAGLI ATOMI AI DISCHI ASTROFISICI

Schrödinger nello spazio

Una nuova sorprendente scoperta suggerisce che l’equazione di Schrödinger è straordinariamente utile nel descrivere l’evoluzione su lungo periodo di grandi strutture astronomiche. Il lavoro è pubblicato su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society

     06/03/2018

Schrödinger nello spazio: impressione artistica della ricerca presentata da Batygin su Mnras. La propagazione delle distorsioni in un disco astrofisico si può capire usando l’equazione di Schrödinger, una pietra miliare della meccanica quantistica. Crediti: James Tuttle Keane, California Institute of Technology.

La meccanica quantistica è il ramo della fisica che descrive il comportamento, qualche volta strano, delle piccole particelle che compongono il nostro universo. Generalmente, le equazioni che descrivono il mondo quantistico sono confinate al regno subatomico: la matematica rilevante alle piccolissime scale non sembra esserlo a scale più grandi, e vice versa. Tuttavia, una nuova sorprendente scoperta da parte di un ricercatore del Caltech suggerisce che l’equazione di Schrödinger – l’equazione fondamentale della meccanica quantistica – è straordinariamente utile nel descrivere l’evoluzione su lungo periodo di certe strutture astronomiche. Il lavoro, condotto da Konstantin Batygin, assistant professor di scienze planetarie e Van Nuys Page Scholar al Caltech, è descritto in un articolo pubblicato su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society.

Gli oggetti astronomici massicci sono spesso circondati da gruppi di oggetti più piccoli che ruotano attorno ad essi, come i pianeti intorno al Sole. Ad esempio, i buchi neri supermassicci hanno sciami di stelle che orbitano loro attorno. Stelle a loro volta circondate da enormi quantità di roccia, ghiaccio e altri detriti spaziali. A causa delle forze gravitazionali, questi enormi volumi di materia si dispongono in modo tale da formare dischi, piatti e circolari. Questi dischi, composti da innumerevoli particelle che orbitano insieme, hanno dimensioni che possono variare da quelle del Sistema solare fino a molti anni luce. In genere, i dischi astrofisici non mantengono la semplice forma circolare per tutta la loro vita. Nel corso di milioni di anni, i dischi evolvono lentamente fino a esibire distorsioni su larga scala, piegature e deformazioni simili alle increspature che si possono osservare sulla superficie di uno stagno. Come queste distorsioni emergano e si propaghino non è chiaro, e persino le simulazioni al computer non hanno ancora offerto una risposta definitiva, poiché il processo è molto complesso e il costo per modellarlo, in termini di tempo e risorse di calcolo, risulta essere proibitivo.

Konstantin Batygin è un astronomo russo-americano, assistant professor di scienze planetarie presso il Caltech. Nel 2015 è entrato nella lista di Forbes dei 30 scienziati under 30 che stanno cambiando il mondo, ed è stato nominato uno dei “10 personaggi più brillanti” del 2016 dalla rivista Popular Science

Mentre insegnava a un corso di fisica planetaria al Caltech, Batygin (lo scienziato che ha teorizzato l’esistenza del nono pianeta, famoso anche per essere apparso nel 2015 nella lista di Forbes dei 30 scienziati under 30 che stanno cambiando il mondo), ha usato la teoria delle perturbazioni per formulare una semplice rappresentazione matematica dell’evoluzione del disco. Questa approssimazione, spesso usata dagli astronomi, è basata sulle equazioni sviluppate dai matematici Joseph-Louis Lagrange e Pierre-Simon Laplace nel XVIII secolo. Nell’ambito di queste equazioni, le singole particelle e i detriti rocciosi presenti su una particolare traiettoria orbitale, vengono matematicamente considerate come un continuo, ossia come se fossero fuse insieme. In questo modo, un disco può essere modellato come una serie di fili concentrici che lentamente si scambiano tra loro il momento angolare orbitale. Volendo fare un’analogia per meglio visualizzare l’approssimazione, potremmo immaginare di sbriciolare ogni pianeta del Sistema solare e disperderne i pezzi lungo le relative orbite, in modo che il Sole sia circondato da una serie di anelli massicci che interagiscono tra loro gravitazionalmente. Le vibrazioni di questi anelli rispecchiano la reale evoluzione orbitale del pianeta che si svolge in milioni di anni, rendendo l’approssimazione piuttosto accurata.

Tuttavia, l’utilizzo di questa approssimazione per modellare l’evoluzione del disco ha condotto a risultati inaspettati.

«Nell’usare questa approssimazione con tutto il materiale del disco possiamo essere molto meticolosi, rappresentando il disco con un numero sempre più grande di fili, sempre più sottili» dice Batygin. «Alla fine, è possibile approssimare il numero di fili nel disco all’infinito, il che ci consente di considerali matematicamente come se fossero un continuo. Sorprendentemente, quando l’ho fatto, ho constatato che dai miei calcoli è emersa l’equazione di Schrödinger».

L’equazione di Schrödinger è un’equazione fondamentale della meccanica quantistica che descrive il comportamento (non intuitivo) dei sistemi su scala atomica e subatomica. Uno di questi comportamenti non intuitivi è che le particelle subatomiche in realtà si comportano più come onde che come particelle discrete, un fenomeno che prende il nome di dualismo onda-particella. Il lavoro di Batygin suggerisce che le distorsioni su larga scala nei dischi astrofisici si comportano in modo simile alle particelle, e che la propagazione di queste curvature all’interno del materiale del disco può essere descritta con la stessa matematica usata per descrivere il comportamento di una singola particella quantistica che rimbalza avanti e indietro tra il bordo interno e quello esterno del disco. L’equazione di Schrödinger è ben conosciuta e scoprire che è in grado di descrivere l’evoluzione a lungo termine dei dischi astrofisici dovrebbe rivelarsi utile agli scienziati che modellano tali fenomeni su larga scala. Inoltre, aggiunge Batygin, è piuttosto intrigante che due branche della fisica apparentemente non correlate – quelle che rappresentano la scala più grande e quella più piccola, osservabili in natura – possono essere governate da una matematica simile.

«Questa scoperta è sorprendente perché non è consuetudine usare l‘equazione di Schrödinger per scale dell’ordine degli anni luce» dice Batygin. «Le equazioni che sono rilevanti per la fisica subatomica in genere non lo sono per i fenomeni astronomici. Per questo motivo sono rimasto sbalordito nel trovare una situazione nella quale un’equazione che viene tipicamente utilizzata solo per sistemi molto piccoli funziona anche per la descrizione di sistemi molto grandi».

«Fondamentalmente, l’equazione di Schrödinger governa l’evoluzione delle perturbazioni ondulatorie», prosegue Batygin. «In un certo senso, le onde che rappresentano le curvature e le asimmetrie dei dischi astrofisici non sono troppo diverse dalle onde che si propagano su una corda vibrante, che a sua volta non sono troppo diverse dal movimento di una particella quantistica in una scatola. Col senno di poi, la connessione appare ovvia, ma è eccitante riuscire a scoprire lo scheletro matematico che si cela dietro questa reciprocità».

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