Dopo anni di onorato servizio, il satellite della Nasa Kepler sta per andare in pensione. Motivo: le scorte di carburante stanno per terminare. E le stazioni di servizio – a 151 milioni di chilometri di distanza dalla Terra, ahinoi – scarseggiano. Lanciata il 7 marzo 2009 con un vettore Delta II dalla Cape Canaveral Air Force Station e aggiornata nel 2013 nella versione K2, la sonda ha davvero fatto la storia della caccia agli esopianeti avendo scoperto in soli nove anni migliaia di nuovi oggetti.
Il telescopio spaziale Kepler è sopravvissuto a diverse potenziali sciagure, da guasti meccanici ai temibili raggi cosmici. La durata della missione è andata oltre ogni aspettativa e si può con certezza affermare che la robusta navicella spaziale ha tagliato ogni traguardo prefissato. Ma il carburante è un elemento essenziale, per le automobili così come per le sonde, e fra qualche mese accadrà l’inevitabile: Kepler dovrà spegnersi e terminare il suo lavoro.
Nel 2009 Kepler venne lanciato con a bordo circa 12 chili di idrazina, il propellente che di solito viene utilizzato per il controllo orbitale e d’assetto dei satelliti (lo si usava anche nello Space Shuttle). Per la missione primaria era prevista una durata di tre anni e mezzo, ma la Nasa garantì che la quantità di carburante sarebbe bastata per almeno sei anni: secondo le stime, sarebbero stati sufficienti dai 7 agli 8 chilogrammi di carburante, ma il serbatoio era talmente capiente che sarebbe stato riempito solo parzialmente. Così, poco prima del lancio, il team di ingegneri decise di riempire completamente il serbatoio e a questa fortunata intuizione si deve la longevità della missione.
I primi veri problemi arrivarono nel 2013, quando la perdita della prima (nel 2012) e poi della seconda delle quattro ruote di reazione (fondamentali per mantenere il telescopio puntato verso il bersaglio) stava per decretare la fine della missione. I tecnici della Nasa non si diedero per vinti dimostrando professionalità e ingegno: il telescopio, ora chiamato K2, venne riequilibrato con le sole due ruote rimaste affidandosi al vento solare. Anche la durata di questa nuova fase doveva essere breve e invece siamo ancora qui a scrivere dei successi del cacciatore di pianeti più famoso dell’Universo.
Un secondo grande spavento risale a pochi anni fa. Nel 2016, durante un contatto programmato, gli ingegneri di Kepler riscontrarono che il satellite era impostato in modalità di emergenza (Emergency Mode), il che prevede bassa operatività e alto consumo di carburante. In pochi giorni, però, i tecnici responsabili delle operazioni di volo riuscirono a recuperare con successo il telescopio spaziale ristabilendo una condizione di stabilità, con l’antenna per le comunicazioni puntata di nuovo verso la Terra.
Attualmente, dai calcoli si evince (anche se non esiste un vero e proprio indicatore come sulle automobili) che l’idrazina rimanente basterà per molti mesi, e non è detto che le sorprese siano finite qui per il team della Nasa. Se vi state domandando “ma non può sfruttare i pannelli solari?” rimarrete delusi: a differenza di altre sonde (come quelle progettate per l’esplorazione planetaria), Kepler non è stata dotata di un motore elettrico o a propulsione elettrica, e ciò vuol dire che i pannelli solari forniscono energia elettrica per alimentare gli strumenti, ma non contribuiscono alla spinta. Il carburante fa tutto il lavoro “sporco”: i propulsori alimentati a carburante servono a correggere la posizione della navicella e vengono utilizzati per le grandi manovre orbitali, come puntare verso nuovi campi di vista e orientare i trasmettitori verso la Terra in fase di download di dati.
La Nasa cercherà di sfruttare al massimo le potenzialità di Kepler nei prossimi mesi per la raccolta di dati scientifici, perché quando terminerà il carburante non sarà possibile né raccogliere dati né inviarli a terra. Essendo Kepler così lontano dal nostro pianeta o da altri oggetti, non è necessario “risparmiare” parte del propellente per la manovra finale (è il caso di molte missioni spaziali, come Cassini), e quindi ogni goccia di idrazina verrà utilizzata per permettere alla navicella di “fare scienza” fino all’ultimo giorno lasciando poi la sonda in balìa dello spazio profondo.
Mentre Kepler si prepara al pensionamento, Tess (Transiting Exoplanet Survey Satellite) è quasi pronto al lancio. Il nuovo cacciatore di pianeti partirà il 16 aprile dalla Florida e si occuperà (come Kepler) di individuare minuscole variazioni di luminosità nelle stelle in cerca di esopianeti transienti. La novità che introduce la Nasa con Tess è che questo satellite sarà in grado di esplorare quasi l’intera volta celeste in un periodo osservativo di due anni e – a differenza di Kepler – riuscirà a rilevare anche i pianeti rocciosi più piccoli attorno a stelle molto brillanti e vicine a noi.