Alberto Pellizzoni è uno di quei ricercatori che, per fare scienza, non si limitano ad analizzare i dati degli strumenti che utilizzano: si danno da fare anche per il loro sviluppo tecnologico. Dal 2008 ha deciso di lavorare all’Inaf di Cagliari in vista dell’ultimazione di Srt, il Sardinia Radio Telescope, per poterne sviluppare le potenzialità software per scovare i misteri degli oggetti che più lo interessavano dai tempi dell’università a Milano: pulsar, buchi neri, stelle di neutroni. Ed ecco che circa un anno fa, forte dell’esperienza nel frattempo acquisita con Srt, a Pellizzoni è venuta un’idea: usare i radiotelescopi italiani per fare imaging del Sole.
Perché, infatti, limitare gli oggetti di studio a stelle, buchi neri e galassie lontane quando abbiamo ancora tanto da scoprire a casa nostra? E così, ben sapendo che già esistevano telescopi espressamente dedicati all’osservazione solare, Pellizzoni ha proposto ai colleghi dell’Inaf di testare gli strumenti radio più avanzati per osservare la nostra “nana gialla”. Un’operazione non semplice, dal punto di vista tecnico, e non priva di rischi da valutare attentamente con dettagliati studi preliminari: a causa dell’enorme segnale elettromagnetico generato dalla nostra stella, osservare il Sole comporta, infatti, da un lato il rischio di surriscaldare le strumentazioni e dall’altro di saturare la banda dei ricevitori.
«Ho lavorato allo studio di fattibilità di tali osservazioni», racconta Pellizzoni, «prima sulla carta, e poi coinvolgendo altri colleghi radioastronomi – qui a Cagliari e alla Stazione radioastronomica di Medicina, in provincia di Bologna – esperti di ricevitori e autorità internazionali nell’ambito della fisica solare come Mauro Messerotti dell’Inaf di Trieste, che ha mi ha incoraggiato e supportato per andare avanti con questa idea. Ottenuto il semaforo verde da tali valutazioni e test preliminari, abbiamo avviato a Medicina dei test di fattibilità che hanno dato esito positivo. È così partito un programma tecnico-scientifico sperimentale di osservazione del Sole A 24 GHz attualmente in corso in queste settimane proprio a Medicina».
La tecnologia a bordo dei single-dish italiani (radiotelescopi a singola parabola, dei quali Srt è solo l’ultimo arrivato, dopo le antenne di Medicina e Noto) consente una risoluzione inferiore all’arcominuto, dunque in grado di osservare a risoluzione elevata l’atmosfera del Sole e, di conseguenza, studiare più dettagliatamente sia i suoi processi chimici e fisici sia lo space weather – “previsioni meteorologiche spaziali” che studiano l’impatto delle tempeste solari sulla Terra e sui sistemi di comunicazione che spesso vengono danneggiati da questi eventi.
«I primi risultati sono stati per certi versi sorprendenti: siamo infatti riusciti ad osservare con buon dettaglio le strutture solari», dice Pellizzoni, «sia in assenza di fenomeni particolari (Sole quieto) che in presenza di protrusioni solari e flare, che abbiamo avuto la fortuna di cogliere durante le nostre prime sessioni a Medicina».
«La parabola di Medicina consentirà di monitorare piuttosto frequentemente l’attività solare», prevede una delle principali promotrici del progetto, Simona Righini, ricercatrice all’Inaf di Bologna, «per studiare che relazione esiste tra ciò che si osserva nella banda radio e lo svilupparsi di fenomeni nella fotosfera e cromosfera della nostra stella. La speranza è di riscontrare qualche precursore che sia interessante anche per le “previsioni del tempo” spaziali».
Certo, a vedere l’immagine del Sole che vi mostriamo in apertura – tutta “pixelata” – si rischia di restare delusi, tanto siamo oramai assuefatti a immagini superdefinite e chiare. Occorre dunque sottolineare quanto differenti e allo stesso tempo complementari siano le varie frequenze di osservazione: con telescopi satellitari ottici o ad infrarossi si riescono ad ottenere immagini bellissime ma che vedono solo una parte della verità.
«L’utilizzo di immagini a diverse frequenze, dal radio al gamma, passando per l’ottico e i raggi X», sottolinea a tal proposito Pellizzoni, «consente di cogliere la natura dei fenomeni solari in modo completo. In particolare, la radioastronomia ad alta frequenza consente di arrivare più in profondità nell’atmosfera solare e di vedere in anticipo l’avvio di fenomeni che hanno un importante impatto sia fisico (aurore boreali) che tecnologico (problemi con le reti elettriche e per le attività spaziali) anche sul nostro pianeta».
Effettivamente, guardando con attenzione l’immagine captata a Medicina ci si rende conto che, a parte il flare ben evidente sulla corona solare, anche il resto della superficie cambia non poco nei vari “scatti”, e queste variazioni sono apprezzabili solo nelle frequenze radio.
Test analoghi per validazione e fattibilità di osservazioni solari, altrettanto promettenti, sono in esecuzione anche per Srt. In futuro, le tre antenne Inaf potranno operare in piena sinergia e complementarietà per il monitoraggio dell’attività solare grazie alla collaborazione di un vasto team di tecnici, tecnologi e ricercatori sia dell’Inaf che dell’Agenzia spaziale italiana – team che allo stato attuale (non sappiamo ancora per quanto) sta lavorando senza costi aggiuntivi rispetto alle attività già programmate. Ora l’obiettivo del team Inaf-Asi è quello di rendere il progetto finanziabile con ulteriori risorse, per raccogliere quanti più dati possibile da mettere a disposizione della comunità scientifica internazionale, presentandoli nei principali congressi radioastronomici del mondo.