Nel 1999 – in un pertugio nella “Montagna di Mezzo” (Mittelberg), nei pressi di Nebra, in Germania – due tombaroli dissotterrarono, grazie ad un metal detector, numerosi reperti metallici risalenti al 1600 avanti Cristo. Tra questi venne fuori un disco di bronzo intarsiato con lamine in oro, del diametro di 32 cm.
È un peccato che un manufatto così importante sia stato scoperto tramite scavi clandestini. Adriano Gaspani, dell’Osservatorio Astronomico Inaf di Brera, spiega infatti che: «La base per una ricerca archeoastronomica di qualità è il rilievo topografico di precisione dei siti archeologici che si sospetta essere astronomicamente significativi, tenendo sempre ben presente che il dato archeologico deve essere tenuto nella massima considerazione». Difatti, come spiega Gaspani in un ampio articolo da lui già dedicato al Disco di Nebra, non abbiamo alcuna certezza sulla posizione in cui il disco fu sotterrato. Questo ci avrebbe permesso di verificare eventuali allineamenti astronomici, se presenti.
La produzione del disco è comunque stimata tra il 2000 e il 1700 a.C., quando a Babilonia Hammurabi scriveva il suo codice e in Egitto governavano gli “hyksos”, i Capi Stranieri. Erano esattamente gli stessi anni in cui la Sardegna ribolliva letteralmente di bronzo fuso per mano di una popolazione guerriera e costruttrice di torri immortali. Insomma, la scoperta delle leghe e in particolare del bronzo ha fatto fare un salto tecnologico “post-neolitico” mai visto che ha portato alla produzione di manufatti prevalentemente bellici: lance, asce, pugnali, scudi, armature e molto altro.
Inizialmente – dato che ad accompagnarlo c’erano appunto asce, scalpelli e pugnali – i due tombaroli pensarono al Disco di Nebra come alla decorazione centrale di uno scudo rotondo, forma tipica degli scudi del periodo. Per loro, comunque, ciò che importava era il guadagno, e infatti cercarono subito di venderlo, finendo inesorabilmente nelle mani della giustizia. Dopo vari passaggi di proprietà il Disco è entrato a far parte della collezione del vicino Museo di Halle e, dal 2013 è divenuto Patrimonio Mondiale dell’Unesco.
Ma perché il Disco di Nebra è tanto controverso e discusso? Basta uno sguardo per capire che la sua funzione era, molto più che probabilmente, astronomica. Gli “ingredienti” che compongono il “puzzle” del disco sono inequivocabili: stelle, Sole, Luna i più sicuri. Poi una serie di altri dettagli non secondari ed anzi, probabili indizi di misurazione astronomica. Innanzitutto gli archi dorati laterali potrebbero raffigurare l’escursione massima di albe e tramonti solari tra i due solstizi di dicembre e di giugno ma che sembrerebbero essere stati applicati al disco solo in un secondo tempo.
Ancora più affascinante è il raggruppamento di stelle interpretato come quello delle Pleiadi, o Sette Sorelle. A prima vista sembra infatti un gruppo di stelle buttato lì in modo quasi casuale, ma se guardiamo a rappresentazioni delle Pleiadi presso altre culture, anche lontanissime, troveremo somiglianze quasi sbalorditive (vedi collage con relativa didascalia).
Sembra dunque che il disco sia la più antica rappresentazione del cielo notturno finora ritrovata. Ma cosa rappresenta esattamente? E perché è stato prodotto? Gaspani su questo resta scientificamente prudente: «Non sappiamo se fosse un oggetto ornamentale, un oggetto magico-rituale utilizzato durante lo svolgimento di funzioni religiose, un oggetto didattico o altro. Il dato di fatto è che si trattava di un oggetto di valore, lo testimonia l’utilizzo dell’oro per rappresentare gli astri».
Il mistero, dunque, resta. Tuttavia il Disco di Nebra rappresenta un caso emblematico di quanto una corretta ed approfondita conoscenza astronomica può aiutare ad interpretare fatti e situazioni storiche con grande precisione, o comunque è uno dei pochi metodi empirici e scientifici in grado di ampliare la rosa delle ipotesi in ambito archeologico.