Misurare le distanze nell’universo in teoria è un gioco da ragazzi, ma nella pratica può essere piuttosto complicato, sopratutto se si vuole misurare con precisione la distanza di un oggetto che ora sappiamo essere a 7800 anni luce da noi. Si tratta di ammasso globulare, un’enorme assembramento di stelle ravvicinate denominato Ngc 6397, uno dei più vicini al nostro sistema solare. La sua distanza è stata misurata da un team di astronomi applicando un approccio innovativo a una tecnica che risale all’antica Grecia.
A oggi per misurare la distanza degli ammassi stellari all’interno della nostra galassia vengono paragonate luminosità e colori delle stelle con modelli teorici e con altre stelle simili della Via Lattea, ma questo metodo ha dei grossi limiti, primo fra tutti un margine d’errore compreso fra il 10 e il 20 per cento: un valore enorme quando si lavora su distanze astronomiche. Riuscire a ottenere misure precise della distanza di ammassi globulari è di fondamentale importanza: usando le parole dell’astronomo a capo dello studio, Tom Brown, dello Space Telescope Science Institute (Stsci), di Baltimora, «gli ammassi globulari vicini servono da punti di riferimento per i modelli stellari. Finora abbiamo avuto misurazioni accurate della distanza dei più giovani ammassi aperti dentro la nostra galassia perché sono più vicini alla Terra».
Per ottenere misure più precise, il team di astronomi dell’Stsci ha fatto affidamento alla parallasse e alle osservazioni di Hubble. Andiamo con ordine. La parallasse è un fenomeno per cui un oggetto vicino sembra spostarsi rispetto allo sfondo se si sposta il punto d’osservazione. Noi stessi riusciamo a percepire la distanza degli oggetti allo stesso modo: i nostri due occhi si trovano in due punti diversi del nostro volto, e quindi mostrano due immagini leggermente diverse che il nostro cervello elabora in una singola immagine tridimensionale. Allo stesso modo, usando il telescopio spaziale Hubble come occhio e le immagini prese per due anni ogni sei mesi, quindi ai lati opposti dell’orbita terrestre intorno al Sole, è stato possibile calcolare il piccolissimo spostamento apparente di Ngc 6397 rispetto alle stelle sullo sfondo.
La tecnica utilizzata per misurare la distanza dell’ammasso si chiama “spatial scanning” ed è stata messa a punto dal premio Nobel Adam Riess e da Stefano Casertano dell’Stsci e della Johns Hopkins University per misurare la distanza delle Cefeidi, stelle variabili fondamentali nella misurazione delle distanze astronomiche. Questa stessa tecnica è stata sfruttata dal team di Brown per misurare lo spostamento microscopico, appena un centesimo di pixel nelle immagini della potente fotocamera Hubble’s Wide Field Camera 3 montata a bordo del telescopio spaziale, che ha osservato 40 stelle nell’ammasso. Le misurazioni, pubblicate il 20 marzo scorso su Astrophysical Journal Letters, hanno indicato come questo si trovi a 7800 anni luce da noi con un margine d’errore del 3 per cento e ne hanno stimato l’età intorno ai 13.4 miliardi di anni: un ammasso antichissimo, nato poco dopo il Big Bang. «Gli ammassi globulari sono così vecchi che, se la loro età e distanza dedotte dai modelli fossero sbagliate anche di poco, apparirebbero più vecchi dell’età dell’universo», ha commentato Brown.
Una misurazione importantissima quindi, che ci fornisce, oltre ad una conferma della stima dell’età dell’universo, anche un riferimento più preciso per affinare i modelli di evoluzione stellare. I ricercatori sono fiduciosi di riuscire a migliorare ancora di più il margine d’errore, abbassandolo all’uno per cento sfruttando nuovi dati di Hubble e incrociandoli con quelli del Gaia Space Observatory dell’Agenzia spaziale europea. «Ottenere l’uno per cento di accuratezza fisserà la misura di questa distanza per sempre», ha concluso Brown.
Per saperne di più:
- Leggi su Astrophysical Journal Letters l’articolo “A High-precision Trigonometric Parallax to an Ancient Metal-poor Globular Cluster“, di T. M. Brown, S. Casertano, J. Strader, A. Riess, D. A. VandenBerg, D. R. Soderblom, J. Kalirai e R. Salinas