Si chiama Hess, acronimo di High Energy Stereoscopic System. Sorge in Africa, nel deserto della Namibia. È formato da cinque enormi telescopi per luce Cherenkov: quattro da 12 metri di diametro, il quinto da 28 metri, per un totale di quasi mille metri quadri di area di raccolta. E ora si è guadagnato un intero numero – l’ultimo, quello di aprile – di Astronomy & Astrophysics: uno speciale in 14 articoli dove sono elencati i risultati conseguiti in 15 anni di studio d’oggetti come le pulsar, i resti di supernove e i microquasar.
Ben 2700 ore d’osservazione sono state dedicate al piano galattico, e il catalogo presentato questa settimana è il più completo mai realizzato per sorgenti di raggi gamma ad altissima energia della Via Lattea: contiene 78 sorgenti, più di quelle studiate da tutti gli altri osservatori per raggi gamma del mondo messi insieme. Un catalogo destinato a rimanere probabilmente senza rivali fino all’entrata in funzione di CTA, il futuro Cherenkov telescope Array.
Per farci un’idea della portata di questo risultato scientifico, abbiamo raggiunto uno fra i protagonisti di Hess, lo scienziato Andrea Santangelo, oggi a capo del gruppo di astrofisica per le alte energie dell’università di Tübingen, in Germania. Nato a Palermo 55 anni fa, dove ha imparato la fisica da scienziati come Saverio Persico, Livio Scarsi e Giuseppe Manzo, Santangelo si è in seguito specializzato in astrofisica alla Columbia University con Bob Novick. «Ma la vera svolta, per me e per tutta una generazione italiana di astrofisici delle alte energie, è stata quella di BeppoSax, il satellite quasi tutto italiano per l’astronomia X», ricorda Santangelo a Media Inaf. «Fu una grande sfida, in cui non c’erano notti o giorni da contare. Con BeppoSax siamo diventi leader in astrofisica delle alte energie, abbiamo imparato come “fare strumenti” e come capire la fisica del cielo. Con BeppoSax le aziende aerospaziali Italiane hanno conquistato un ruolo di rilievo in Europa. Poi un giorno di 14 anni fa, dopo più di dieci di lavoro anni come ricercatore a Palermo, prima al Cnr e poi all’Inaf, sono stato chiamato alla cattedra di astrofisica sperimentale delle alte energie all’università di Tübingen. Avevo 42 anni, ho accettato».
Dall’Italia alla Germania, da BeppoSax a Hess, dunque. Veniamo a quest’ultimo. Quale eredità scientifica ci lasciano, questi primi 15 anni di osservazioni pubblicate oggi su Astronomy & Astrophysics?
«Il lasciato più significativo, raccolto nelle odierne pubblicazioni dei risultati della survey del piano galattico, è quello di mostrarci la ricchezza e varietà dell’emissione della nostra galassia alle energie più estreme osservate nello spettro elettromagnetico. Un volto della Via Lattea estremo, popolato di oggetti nuovi, alcuni ancora misteriosi. Un universo impensabile quindici anni fa. Per la prima volta, nel campo delle emissioni gamma di altissima energia, uno studio sistematico viene offerto alla comunità scientifica, e dati al TeV resi pubblici così da poter essere utilizzati dall’intera comunità astrofisica. Ecco, l’astrofisica del TeV è diventata un ramo maturo, ricco, dell’astrofisica delle alte energie. Attenzione però: parliamo di “eredità scientifica”, ma il lavoro di Hess non è ancora finito. Ci aspettano ancora anni di osservazioni e tutte le scoperte della seconda fase di Hess, Hess II».
Nel catalogo oggi pubblicato, quel è secondo lei l’oggetto più sorprendente?
«La scelta è ovviamente personale: anche gli scientists sono influenzati dal gusto e dai “primi amori”! Certamente le osservazioni del resto di supernova RX J1713-3946 costituiscono una pietra miliare negli studi sull’accelerazione dei raggi cosmici, e sulla loro propagazione nel mezzo interstellare. La scoperta al TeV, prima che in altre bande, di nuove supernove, in uno studio guidato dall’Università di Tübingen, è stata una sorpresa. Un altro risultato che amo molto e che ritengo sorprendente è quello dello studio dell’emissione diffusa nella zona centrale della galassia, che suggerisce l’esistenza di un “PeVatrone”, una macchina celeste nel centro della Via Lattea capace di accelerare particelle ad energie pari a 1015 eV».
I cinque telescopi che formano Hess ricordano molto la coppia di telescopi Cherenkov dell’osservatorio Magic. Cosa li distingue?
«Magic ha contribuito significativamente alla scoperta del cielo TeV, non solo della nostra galassia, negli ultimi quindici anni. La maggiore differenza è dovuta alla posizione dei due osservatori. Dalle Khomas Highland della Namibia, Hess ha osservato il cielo dell’emisfero sud, che contiene gran parte del piano galattico. L’osservatorio Magic, che si trova presso Roque de Los Muchachos, sull’Isola di La Palma, alle Canarie, osserva invece il cielo dell’emisfero nord. Grande complementarietà dunque. E diversa è anche la tecnologia impiegata. Hess e Magic sono entrambi i grandi protagonisti storici dell’astrofisica al TeV».
E Cta? Voi di Hess siete coinvolti anche nel futuro Cherenkov Telescope Array?
«Certo. Uno dei grandi risultati del progetto Cta è proprio quello di avere riunito le comunità – intendo quella di Hess, di Magic e di Veritas – in un grande sforzo comune. Molti dei gruppi di Hess sono significativamente coinvolti in Cta. Noi di Tübingen partecipiamo agli sviluppi sperimentali dei cosiddetti medium size telescopes. Siamo impegnati, ovviamente insieme ad altri, nell’elettronica di una delle camere e nella movimentazione e allineamento degli specchi. Mi lasci anche dire, dal mio osservatorio tedesco e con orgoglio, che il ruolo leader dell’Italia e dell’Inaf in Cta dimostra l’eccellenza dell’astrofisica Italiana. Ancora una volta. Un patrimonio del paese di cui andare orgogliosi».
Una volta attivo Cta, Hess avrà comunque un futuro?
«Ovviamente bisognerà valutare costi e benefici, e le risorse necessarie per continuare le operazioni di Hess. Questo il consorzio Hess lo sta discutendo, anche in questi giorni ad Amsterdam. Da un punto di vista scientifico, continuare Hess ha certamente senso, per esempio per monitorare sorgenti specifiche, per follow-up di eventi transienti».
Dicevamo prima che Hess sorge nel deserto della Namibia. Lei c’è mai stato?
«Sì, sono stato in Namibia, anche a fare i turni osservativi per un mese lunare. È un posto di un fascino assoluto, terra e notte d’Africa. E poi, come dico ai miei studenti e postdoc, bisogna andare, per capire i telescopi – oltre i dati, i computer e la carta stampata. Per sentire il cielo. Sentirlo come sentimento interiore».
Per saperne di più:
- Leggi su Astronomy & Astrophysics lo speciale dedicato ai risultati di Hess
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