UNA SUPERCAMERA PER FOTOGRAFARE ESOPIANETI

Ritratto di mondo alieno con Darkness

Con un rapporto di contrasto di uno su cento milioni e uno spettrografo a campo integrale da 10mila pixel, la camera hi-tech sviluppata a UC Santa Barbara e al Caltech promette di produrre numerose immagini dirette di pianeti extrasolari. E funziona anche da sensore di fronte d’onda

     18/04/2018

Darkness, la super camera per fotografare i pianeti extrasolari. Crediti: Ucsb

Si fa presto a dire cheese… Ma quando il soggetto che vogliamo immortalare se ne sta incollato a una sorgente cento milioni di volte più luminosa di lui, l’Hdr non basta. È il caso dei pianeti extrasolari. Se è relativamente semplice misurarne l’ombra durante il transito innanzi alle stelle, per scattare immagini dirette di questi lontani mondi – fotografie vere e proprie, dunque, cogliendone non l’ombra ma la luce – occorre una camera straordinaria. Una camera a bassissimo rumore e contrasto da vertigini. Una camera come quella che sta sviluppando il team diretto da Benjamin Mazin, fisico di UC Santa Barbara. Una fotocamera superconduttrice – la più grande e avanzata al mondo – di nome Darkness: evocativo acronimo per dark-speckle near-infrared energy-resolved superconducting spectrophotometer.

Darkness, si legge sul sito di UC Santa Barbara, è il primo spettrografo a campo integrale da 10mila pixel specificamente progettato per superare i limiti dei tradizionali rilevatori a semiconduttore. Fa uso di rilevatori di induttanza cinetica a microonde che, raffreddati a temperature prossime allo zero assoluto e in combinazione con un grande telescopio e un sistema di ottica adattiva, consentono, appunto, l’imaging diretto di pianeti in orbita attorno a stelle vicine. Un’operazione che fino a oggi si conta letteralmente sulle dita di quattro mani, e con esiti non immediatamente entusiasmanti, trattandosi di manciate di pixel che solo con un grande sforzo dell’immaginazione riusciamo ad associare alle fantasmagoriche rappresentazioni artistiche d’esopianeti che incontriamo ogni giorno in rete.

«Scattare una foto di un pianeta extrasolare è estremamente difficile, perché la stella è molto più luminosa del pianeta, e il pianeta è molto vicino alla stella», conferma Mazin. D’altronde, è una sfida che vale ampiamente la fatica: quella manciata di pixel, infatti, rappresenta veri fotoni in arrivo da quei mondi remoti. Insomma, un tesoro scientifico senza prezzo.

Ed è proprio quando andiamo a fare i conti con i singoli di fotoni che Darkness promette d’essere senza rivali. In grado di acquisire l’equivalente di migliaia di frame al secondo senza alcun rumore di lettura (read noise) né corrente oscura (dark current) – due tra le principali fonti di rumore degli altri strumenti – Darkness permette di determinare la lunghezza d’onda e il tempo di arrivo di ogni singolo fotone. E quest’ultima informazione fa la differenza: aiuta a distinguere la luce del pianeta dalla luce dovuta ad altre fonti.

«Questa tecnologia ci permetterà di poter rilevare i pianeti più deboli. Speriamo di avvicinarci al limite del rumore fotonico», si augura Mazin, «così da arrivare a un rapporto di contrasto vicino a 10-8, consentendoci di vedere pianeti 100 milioni di volte più deboli della propria stella. A quei livelli di contrasto potremo vedere alcuni pianeti in luce riflessa, e questo ci aprirà le porte a un intero nuovo regno di pianeti tutto da esplorare».

Ora si tratta di trovare il telescopio giusto per ospitare camere come Darkness. Al momento è progettata per il Palomar Observatory, in California, e funziona sia da camera per l’imaging scientifico sia che come sensore fronte d’onda sul piano focale, misurando rapidamente la luce e restituendo un segnale di feedback a uno specchio elastico – in grado mutare forma della superficie duemila volte al secondo – così da abbattere la distorsione dovuta all’atmosfera. Ma l’obiettivo a lungo termine di Mazen e colleghi è il futuro Thirty Meter Telescope, il “rivale” a stelle e strisce di Elt.